La cultua? In Italia non è più un valore.

di Valentina Terrana

C’è da stupirsi? No.

Secondo un recente studio Infodata, l’Italia è in infatti il quarto Paese al mondo per numero di analfabeti funzionali, il 28 % della popolazione totale.

Di chi sa tratta? Sono persone in grado di leggere e scrivere ma che non sanno sviluppare un pensiero critico e che, pur riuscendo a leggerli, faticano a comprendere testi semplici come, per fare un esempio, le istruzioni per il montaggio di un oggetto. Si sta parlando, per capirsi, di quelli che condividono indignati meme[1] palesemente falsi su Facebook poiché non sono in grado di distinguere la satira dalla denuncia.

E la scuola?

Il dato drammatico è che l’abbandono scolastico è elevatissimo: nel 2018 ha abbondonato precocemente la scuola in Italia un totale di 600mila ragazzi, vale a dire il 14,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni.

In un mercato del lavoro a crescente specializzazione e complessità, hanno per le mani un titolo da scuola media.

La colpa, però, è anche di quella che Alain Deneault (è un autore franco-canadese)chiama “MEDIOCRAZIA”: ossia il fatto che oggi, sia meglio essere degli ubbidienti mediocri, piuttosto che brillanti critici.

Perché chi viene premiato è chi sgobba senza mettere in discussione la realtà in cui si muove il sistema. E questo può accadere in due casi: se si evita di farlo per astuzia o, più frequentemente, perché semplicemente non se ne è in grado.

E così nelle aziende fa carriera chi svolge il proprio compitino senza mai discutere le decisioni della dirigenza, nei partiti si sale la gerarchia se si ubbidisce fedelmente a un capo sposandone acriticamente la linea e via discorrendo.

Logico che in un simile contesto la cultura e il senso critico non solo non possano più essere un valore, ma siano addirittura un peso. Un terribile fastidio, un intralcio da eliminare con tutto ciò che ne consegue.

La lingua italiane è in pericolo?

La nostra lingua, parlata e scritta, si sta impoverendo e riempiendo di strafalcioni, l’espressione si fa sempre più semplificata e povera di argomentazione.

L’allarme è stato ripetutamente lanciato da insegnanti, educatori e linguisti.

È opinione diffusa che si stia assistendo a un deterioramento progressivo dell’uso della nostra lingua sia orale che scritta.

Un impoverimento che si estende anche al lessico, al vocabolario e alla comprensione del significato delle parole; gli italiani, soprattutto i giovani, sembrano sempre più incapaci di articolare concetti complessi e approfonditi.

E, quel che è peggio, non trovano – o non conoscono – le parole adeguate e corrette per esprimerli.

La mancata familiarità dei giovani e dei ragazzi con poesie e con testi letterari, ha impoverito il loro linguaggio. C’è, infatti, un rapporto strettissimo tra lingua e il pensiero.. «il quale deve essere prima di tutto, nella nostra testa. Tutti crediamo di pensare a cose profonde e intelligenti. Ma poi se ci mettiamo a scriverlo o anche solo a esprimerli a parole, abbiamo difficoltà. Questo è normale, perché il linguaggio pensato lo padroneggiamo meglio del linguaggio comunicato. In passato non c’erano distanze enormi tra questi due “momenti” dell’uso della lingua. Oggi, invece, proprio a causa di questa consuetudine con un linguaggio rapido, essenziale e troppo semplificato, il nostro stesso pensiero rischia di esprimersi attraverso slogan, tweet, ecc. Una generazione che si abitua a questa modalità di comunicazione – penso ai giovani – perde anche l’abitudine ad argomentare, cioè a sostenere discorsi complessi e profondi» cit. professor Vittorio Coletti.

La forza della scuola italiana è stata, per decenni, quella di contestualizzare ciò che insegnava nella cornice della storia, la lingua materna è quella con cui noi pensiamo. Se non siamo consapevoli, noi non sfruttiamo fino in fondo il nostro cervello.

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