Intervista al Presidente Giovanni Caudo

Intervista fatta dalla Redazione il 25 luglio 2020.

Presidente, siamo molto contenti che ha subito aderito alla nostra richiesta di farle questa intervista da pubblicare sul nostro giornalino di quartiere.

La prima domanda gliela vogliamo fare proprio in merito a questo “strumento” che abbiamo pensato, in questo il titolo è abbastanza chiarificatore, per mettere in rete le varie realtà e persone del nostro quartiere.

Cosa ne pensa di questa iniziativa?

Giovanni Caudo – Presidente III Municipio

Fare rete è l’unica possibilità che abbiamo oggi per vivere la nostra umanità. Una volta questo bisogno era meno sentito, la famiglia nel senso più largo era una rete di fatto e anche le amicizie, quelle di una vita che si costruiscono sui banchi di scuola, erano appunto per una vita, oggi non lo sono più. Fare rete è la nostra condizione umana, imprescindibile. Quindi trovo che il vostro titolo sia assolutamente azzeccato.

Oggi la città, e noi lo vediamo anche nel nostro quartiere, sono luoghi nei quali convivono, più che nel passato, persone di tradizioni, culture, fedi religiose e visione etiche differenti. In questo contesto prendono piena forma i rapporti sociali segnati da pluralismo morale-etico-religioso. Tale chiamata all’universalità è uno specifico tratto della vocazione della città? Quali sono i punti di forza, le opportunità e quali le criticità più evidenti che sono ancora da superare?

Non è solo della città, è del Mondo e di come esso è cambiato. All’origine della polis greca c’era l’appartenenza a una famiglia, a un génos, si era cittadini perché si era nati nella polis. Quello che univa gli abitanti era il passato, le radici. Nella civitas romana no, non si era cittadini per nascita ma perché si rispettava un’unica legge, quella di Roma. La civitas era confluenza in unico luogo di uomini e donne di provenienza diversa per culture, religioni e tradizioni. Nella civitas si condivide il futuro, un progetto comune, è l’opposto della polis.

Oggi la crisi delle città dipende in gran parte da una contraddizione: abitiamo un Mondo che è figlio della civitas ma ci comportiamo come cittadini della Polis, non abbiamo più un progetto comune, o non lo percepiamo più. Anzi peggio, perché stiamo progressivamente convincendoci che possiamo fare a meno dell’altro, del diverso e quindi dell’alterità.

Anche nella polis greca l’altro era tenuto in grande considerazione, era il meteco, lo straniero al quale si rivolgeva particolare attenzione e dal quale si attingevano informazioni su mondi diversi, su tradizioni diverse. Non lo si lasciava annegare in mare.

Il nostro tempo è governato dalle paure, le più diverse, ma tra queste la paura principe che condiziona tutte le altre è proprio la paura dell’altro. Ma noi senza il riconoscimento dell’altro non esistiamo, l’altro vuol dire non un altro come me ma uno diverso da me.

Una comunità di identici è un ossimoro, è una sorta di SuperIo. Per questo tornando al vostro nome fare rete è importante ma la rete deve essere aperta, capace di includere e non di escludere. Deve essere un Noi senza che sia contrapposto a un voi.

Ci sembra che viviamo in un periodo che necessita di sicuri punti di riferimento valoriali capaci di incidere sulle scelte più importanti e strategiche per costruire il bene comune. La dimensione educativa viene considerata come il denominatore comune degli interventi sempre più urgenti da compiere nei vari campi della vita sociale, culturale ed ecclesiale. Su questo argomento anche Papa Francesco, sollecitato da tante personalità, ha maturato l’idea di organizzare un evento mondiale che ha come tema “Ricostruire il Patto educativo globale”. Lei           come professore, amministratore e come padre sente questa necessità? Quali riflessioni e quali suggerimenti sente di poterci comunicare?

Si, come al solito Papa Francesco ci fa il dono della rotta da seguire. La scuola deve essere al centro di ogni discorso sul nostro futuro, non c’è possibilità di ricostruire nulla del nostro mondo se non si passa dalla scuola.

Ma la scuola non è l’edificio, ovviamente, è la comunità educante che poi tracima nel quartiere e nella città e si fa punto di riferimento locale.

Le scuole diventeranno, questo è il mio auspicio, dei luoghi sempre più aperti e porosi dove crescere e sperimentare la vita.

Oggi le scuole e gli organi di governo di queste sono assillate da formulari e burocrazia e in pochi casi si ragiona di come la comunità scolastica può crescere. Io auspico che a partire dal governo centrale ci sia una vera rivoluzione sulla scuola, a cominciare dalla dotazione di risorse economiche.

Nel dopoguerra l’Italia è ripartita con investimenti sulle infrastrutture, pensiamo le autostrade, oggi l’Italia riparte se investe sulla scuola.

Il 23 giugno in un incontro pubblico che abbiamo organizzato come Municipio e che si è tenuto al Parco delle Valli dedicato alla scuola di domani, abbiamo proposto che almeno il 10% delle risorse del Recovery fund che l’Europa ci ha concesso siano dedicate a un progetto strategico sulla scuola, sarebbero circa 22 miliardi, un investimento mai fatto.

Durante la quarantena le scuole hanno adottato la didattica a distanza, in realtà si è trattato di didattica di emergenza, non eravamo preparati a questo cambio. Da una indagine condotta da noi su tutti gli istituti comprensivi del Municipio è venuto in chiaro quello che temevamo. Le nostre scuole migliori quelle in cui la comunità scolastica    riesce   a    fare integrazione e accompagnare allo stesso modo ragazze e ragazzi diversi, per intenderci quelle che hanno il maggior numero di studenti stranieri, le scuole di mille colori, come la vostra quella di Fidene, sono quelle che hanno avuto maggiori problemi con la didattica a distanza.

Se la scuola si riduce solo alla didattica e questa si trasferisce nelle case, nelle famiglie, tutte le differenze tornano e con queste le disuguaglianze e di conseguenza la missione della scuola, la più importante, l’integrazione, fallisce.

La Didattica a distanza riproduce le disuguaglianze.

Per questo siamo impegnati come municipio a fare di tutto per assicurare la riapertura delle scuole.

Con l’inizio del nuovo anno scolastico, per evitare l’affollamento delle aule, il Ministero dell’Istruzione ha avanzato la proposta di utilizzare anche ampi spazi come palestre, cinema, teatri, musei, laboratori. Potrebbe essere attuabile anche nel nostro Municipio?

La priorità deve essere trovare gli spazi all’interno del plesso scolastico, ripeto quanto detto sopra, prima degli spazi bisogna tutelare la comunità scolastica e la sua possibilità di essere in relazione. Portare gli studenti fuori in una sala esterna separata dalla scuola sarà la soluzione solo per quei casi in cui non si potrà fare diversamente, dovrà essere un’eccezione.

Dal primo luglio ha lavorato un gruppo di lavoro del Municipio coinvolgendo gli uffici del sociale e del tecnico, ma soprattutto le dirigenti, gli insegnati le educatrici e le coordinatrici degli asili e delle scuole materne.

Un lavoro di squadra che nonostante le incertezze che derivano dalle indicazioni del governo centrale e anche da Roma Capitale ha lavorato per fare tutto il possibile perché le scuole potessero aprire. Si sono individuate soluzioni puntuali e specifiche per ogni scuola: interventi per recuperare spazi da usare come aule (svuotate da arredi messi a magazzino), costruire delle pareti per realizzare altre aule, consentire l’uso degli spazi dei refettori e ancora aumentare le zone d’ombra nei giardini e negli spazi esterni. Ancora una volta per noi l’emergenza non deve andare a scapito del progetto formativo.

Quando questo giornale uscirà saremo al momento della prova del fuoco e mi auguro che tutto andrà per il meglio.

Ma in ogni caso avremmo fatto il possibile e tutti insieme, considerato anche che le nostre scuole erano già in condizioni pessime dal punto di vista della manutenzione e della cura degli spazi.

Nel nostro quartiere c’è verde a sufficienza per noi adulti e per i ragazzi di cui tanto hanno bisogno per ritrovarsi e chissà anche da poter utilizzare come spazi di scuola in presenza. Ma sembra che questi spazi verdi rischiano l’abbandono, nonostante diversi sforzi emerge una scarsa attenzione a medio e lungo termine e senza bellezza, senza decoro, che dipendono certamente anche dal grado di civiltà di ognuno di noi, risulta difficile immaginare un quartiere e un “abitare” diversi. Come Municipio c’è un progetto per la cura e la custodia degli spazi pubblici?

Intanto il verde che circonda Fidene, penso per primo al Parco delle Sabine, ha una estensione di 170 ettari, Central park a New York è poco sopra i duecento ettari. Nonostante siamo un Municipio grande non siamo ancora New York. Chiedere conto al Municipio di questo significa sbagliare indirizzo, occorre che sia Roma Capitale, tutta la città a farsi carico di questo progetto, ma purtroppo questo non avviene, anzi nonostante richieste e sollecitazioni dal Campidoglio vengono solo scuse e scarica barile e spesso ci rimandano all’avvocatura e al contenzioso con i privati. Ma ormai sono anni che questo territorio è sospeso, una sorta di terra di nessuno: i privati non possono operare, il comune si tira indietro e i cittadini sono abbandonati a loro stessi, avendo investito i loro risparmi in case che si sono deprezzate, e di molto rispetto all’acquisto, e non gli resta quindi che prendersela con il Municipio. Un gioco in cui tutti perdono.

Ci sono cose che il Municipio può fare e le stiamo facendo, abbiamo dato in gestione l’area verde di ottomila metri quadri a via Labia. Per dodici anni un’associazione culturale che ha vinto un bando gestirà il parco e ricostruirà e utilizzerà il manufatto che era vandalizzato. Non solo cura del verde ma anche iniziative culturali e ricreative per i nostri giovani. Parco Labia sta diventando una centralità preziosa per tutti i cittadini di Fidene, giovani, vecchi, italiani e stranieri. E’ un esempio di come la città è mescolanza e convivenza di diversi. Poi ci sono altri spazi come il parco Bonaventura e qui aiutiamo i cittadini che lo gestiscono. Altre aree fanno parte di progetti di Roma Capitale, come i punti verdi qualità, che sono stati una sciagura in tutta Roma. Infine, ci facciamo carico della manutenzione ordinaria del verde del Municipio che gestiamo direttamente, lo facciamo con un servizio in appalto, non abbiamo dei giardinieri nel Municipio. Da quest’anno abbiamo un modello di appalto aperto che ci consente di fare la programmazione degli sfalci con più regolarità, ma resta sempre il problema delle risorse economiche insufficienti. Infine, molte delle aree che sono nel degrado non sono né del comune né del municipio sono aree per le quali ci sono ancora procedure di acquisizione in sospeso. Come vedete non è solo questione di volontà o meno del Municipio, è che la città di Roma è cresciuta più in fretta di quanto non sono cresciute le possibilità di gestirla.

La spazzatura, problema comune a tanti quartieri della città, è una questione di igiene, di salute, ma rischia soprattutto di diventare assuefazione alla bruttura, offesa alla vista e all’olfatto. Lo scorso anno all’Università Pontificia Salesiana ci fu un incontro su questo tema con la sua partecipazione, quella della sindaca, dei dirigenti AMA e dell’assessore alle Politiche Ambientali. L’incontro si concluse con dei propositi e delle azioni da mettere in atto. A che punto siete/siamo?

L’incontro all’Ateneo Salesiano aveva uno scopo preciso, evitare che nel nostro Municipio dopo la chiusura del TMB e la fine dei miasmi provenienti dal trattamento dei rifiuti, fosse localizzato un nuovo sito per il trasbordo dei rifiuti. Quell’obiettivo lo abbiamo raggiunto e non si parla più di questo sito, né a via Ave Ninchi né a via di Settebagni.

La questione dei rifiuti però è di altra natura e anche in questo caso non posso che essere a fianco dei cittadini per denunciare la mancata raccolta e lo stato di indecenza in cui versano le postazioni dei cassonetti o peggio il servizio del Porta a Porta. A fianco dei cittadini perché non dipende dal Municipio che non ha alcun potere sul servizio di raccolta, né su quello della pulizia delle strade né tanto meno sul diserbo dei marciapiedi. Sono tre servizi che sono date in gestione monopolistica da Roma Capitale ad AMA che ha un contratto ancora per dieci anni. Ogni anno i romani gli danno ben 820 milioni di euro per svolgere questo servizio (circa 60 milioni solo il nostro Municipio), sono i soldi della Tari. Ecco, gli diamo tutti questi soldi e ci lasciano nell’immondezzaio. Nonostante il problema sia annoso e venga da lontano, comprese le mancate scelte delle giunte Rutelli e Veltroni, non solo di quelle più recenti, la giunta Raggi in quattro anni ha aggravato il problema invece di risolverlo. In questo momento la Capitale è senza assessore ai rifiuti, una cosa che non si è mai vista. Non c’è nessuno che in Campidoglio gestisce i rifiuti, in quale altra città avviene questo? Eppure, a Roma nessuno sottolinea questa cosa. L’appalto per il porta a porta nei negozi e nei ristoranti, lanciato nel 2018 dalla giunta Raggi dopo due anni di gestazione, è stato un fallimento. Nel nostro Municipio la società vincitrice è stata alla fine, ad aprile 2019, estromessa e il servizio è stato preso in carico dagli stessi dipendenti dell’AMA con il risultato che per coprire quel servizio si sono ridotti i turni di raccolta dei cassonetti e del porta a porta con le conseguenze che vediamo. Come Municipio segnaliamo le situazioni più critiche e stiamo con il fiato sul collo all’AMA, ma purtroppo non serve a molto dato che l’AMA semplicemente non funziona. E’ inutile e ingeneroso prendersela con il Municipio, è come quando la ditta delle pulizie non pulisce il palazzo e lo lascia sporco e però ce la si prende con il portiere.

Per risolvere la questione dei rifiuti a Roma serve una rivoluzione, una vera rivoluzione. Serve agire sulla dimensione sociale dei rifiuti, coinvolgendo i cittadini e le associazioni nei processi di riciclo e di riparazione,    per    ridurre    lo    scarto e soprattutto per far affermare una cultura della sostenibilità.

A fianco a questo serve una dimensione industriale, i rifiuti sono la materia prima (la plastica, il vetro, la carta, il legno,…) di altrettanti processi produttivi a carattere industriale.

L’AMA non è niente di tutto questo, è ancora un’azienda pensata per raccogliere e buttare tutto in una buca, a Malagrotta.

Presidente, una fotografia di Fidene dal suo punto di vista: opportunità, criticità e proposte di miglioramento per il comune impegno di amministratori e cittadini.

Fidene è un paese a parte, c’è ancora una forte identità che si fonda sui paesi di provenienza dei cittadini.

Ci si conosceva tutti e si veniva dagli stessi paesi poveri dell’interno.

Nel tempo è cambiata, ora ci sono le comunità di stranieri, in alcuni casi molto colorati che riempiono i nostri spazi  pubblici.  Anche  in  questo  è  un esempio ancora positivo di integrazione e di inclusione, ma so che non mancano le tensioni, ma sono solo una minoranza.

Ricordiamoci che tutti siamo stati migranti, chi oggi chi ieri chi l’altro ieri, ma è un fattore che abbiamo in comune, tutti.

Su questo non ci possono essere smentite. Su questo sono grato al lavoro che fa la parrocchia e a come costruisce cittadinanza per tutte e tutti.

Da questo punto di vista siete una delle realtà più belle.

A volte le tensioni nascono come conseguenza della struttura fisica della borgata, le costruzioni sono molto dense e addossate uno sull’altra. Ci sono le strade, solo quelle e spesso senza marciapiedi.

E’ stata realizzata in autocostruzione con tanti sacrifici, ma solo la città privata, quella pubblica non c’è. Abbiamo stanziato dei soldi per rifare i marciapiedi a via Radicofani e per un intervento a Piazza dei Vocazionisti, ma si può fare poco, lo spazio per cambiare le cose è molto risicato. Bisognerà però porsi questo problema prima o poi, e pensare a un cambiamento più profondo.

Intanto però stiamo portando avanti i lavori per il progetto del Dopo di Noi. Nel villino in via Vernio, che abbiamo ricevuto dall’Agenzia per i Beni confiscati, sono iniziati i lavori di ristrutturazione e verrà abitato da cinque ragazzi disabili che lo useranno per tutta la vita, anche quando i loro genitori non ci saranno più.

E’ il primo progetto di questo tipo che si realizzerà a Roma. A Fidene ancora un primato di tipo sociale.

Sembra che in questo periodo in particolare dell’era digitale si rischia di distruggere l’organizzazione dell’informazione e delle conoscenze, cancellando la differenza fra vero e falso, tra reale e finzione. Siamo inondati da un eccesso di notizie provenienti dalle più varie fonti, alcune affidabili, altre per niente garantite; basta pensare a quanto è successo e continua a succedere per il coronavirus. Anche nel marketing polito sentimenti ed emozioni sostituiscono l’inchiesta sulla verità dei fatti, prevale la capacità di produrre adesioni, di sedurre, e l’indice di ascolto decide sulla verità e la falsità dei messaggi. Come possiamo distinguere in questa situazione il bene dal male allo scopo di edificare una società giusta, solidale e fraterna?

Questo è un tema centrale e attiene concretamente al nostro futuro, alla tutela dei nostri diritti e all’esercizio consapevole dell’esercizio del voto.

Io mi attengo ad alcuni principi semplici, essere sempre onesto intellettualmente, questo significa poter spiegare sempre cosa si pensa e perché e in base a quali principi e fonti. In questo mi aiuta la mia cultura accademica, nel mondo scientifico non si può sostenere qualsiasi cosa e poi il contrario di tutto.

I politici spesso invece fanno di queste giravolte la loro cifra principale, e nessuno più gli chiede conto, lo si considera normale. I cittadini per conto loro per il semplice fatto di avere una tribuna social che può parlare al mondo si sentono autorizzati a intervenire su tutto e formulano giudizi sulla base di sole impressioni e spesso pregiudizi (pensiamo alla diffusione dei NoVax).

I giornali ormai sono fogli notizie per lo più senza articoli di giornalisti veri. L’esito è devastante, il dibattito pubblico nella sua complessità è del tutto alterato e di conseguenza le scelte pubbliche, le preferenze elettorali o anche l’agenda delle priorità viene alterata e non corrisponde più alle necessità reali dei cittadini.

Un disastro in cui siamo catturati tutti. Il Covid avrebbe dovuto insegnarci almeno una cosa: rallentare, riflettere e prendersi il tempo per capire e comprendere. Invece niente, siamo tornati a come prima, anzi peggio. In questo senso possiamo dire che non è andato tutto bene.

Il testo di una canzone riporta una frase nota sulla globalizzazione che dice: “Pensare globale, agire locale, non è uno slogan ma una sfida vitale”. Questo pensiero è ancora attuale? Come potrebbe essere applicato all’interno di piccole comunità come il quartiere o Municipi?

Il concetto che per me tiene insieme tutte queste cose è la cura, il prendersi cura delle cose che ci circondano.

Il concetto di cura non riguarda le donne, quello è un riduzionismo culturale.

Prendersi cura vuol dire che ci stanno a cuore le cose che ci circondano, tutte. E se ci prendiamo cura di quello che ci sta intorno ci prendiamo cura del mondo, un mondo che come vediamo di questi tempi si è guastato e deve essere riparato.

Il distanziamento impostoci per proteggerci dal virus ci dice che siamo in relazione gli uni con gli altri e che prendendoci cura di noi, attraverso la distanza e la mascherina, ci prendiamo cura anche degli altri, di tutti. Prendersi cura vuol dire che le cose devono essere accompagnate nella relazione, appunto curate, e non semplicemente fatte.

La frenesia del fare ci ha portato sul baratro, mentre il pensiero riflessivo che si ha con la cura delle cose vuol dire che ci prendiamo cura anche di noi stessi. Serve uno sguardo nuovo sulle cose, uno sguardo meno possessivo e deterministico, che guardi alle tante ecologie che formano il mondo, non solo quella dell’uomo ma del vivente tutto.

Nel Municipio cerco di tenere presente questo principio e di metterlo in ogni azione, anche la più piccola e quotidiana come anche nelle scelte più impegnative che ci troviamo ad affrontare. Cerco, come ripeto spesso, di conciliare il marciapiede e il cielo, la quotidianità e l’ambizione, il locale e il globale.

Non mi dilungo ma basta guardare all’importanza che diamo alle azioni sul sociale, a quelle che riguardano l’educazione, le politiche di genere, l’ambiente con le azioni sull’Aniene e ancora la cultura per trovarne traccia.

Presidente terminiamo qui la nostra intervista, la ringraziamo per il tempo che ci ha concesso e le auguriamo buon lavoro.

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