SOPHIE SCHOLL (1921-1943)

Una voce europea

La Redazione (tratto dal web)

Abbiamo pensato fosse importante aprire una nuova rubrica del giornalino dedicata a grandi personalità femminili che hanno contribuito alla nascita e al riconoscimento di diritti, doveri e responsabilità individuali e collettivi, per dare anche continuità ad un percorso iniziato con il giornalino di novembre 2022 n. 13. A tal proposito siamo contenti di ricevere indicazioni, suggerimenti e articoli per dare voce al mondo femminile.

Iniziamo con Sophie Scholl per mettere in risalto che solo recentemente la storiografia ha preso in considerazione la componente femminile della resistenza tedesca che costituì circa il 15% dei suoi membri e di cui lei ne è una esemplare testimonianza.

Ricordare lei ci fa ricordare che ci sono pensieri che quando vengono pronunciati diventano una dichiarazione senza possibilità di ripensamento: “Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza; la Rosa bianca non vi darà pace”. Con questo avvertimento si concludeva il quarto dei sei volantini che un gruppo di studenti e un professore distribuirono tra il giugno 1942 e il febbraio 1943 a Monaco di Baviera, quella città in cui era nato il partito nazista e che Hitler aveva proclamato come capitale ideologica del suo movimento. Contro la naturale tendenza umana alla comodità, incitarono la popolazione tedesca a richiedere la cessazione della guerra e il ritorno allo stato di diritto. Scoperti dalla Gestapo, i sei protagonisti furono condannati a morte: i fratelli Hans (24 anni) e Sophie (21 anni) Scholl, Alexander Schmorell (25 anni), Christoph Probst (23 anni), Willi Graf (25 anni) e Kurt Huber (49 anni). Altri sostenitori e collaboratori furono puniti con condanne tra i sei mesi e i dieci anni di detenzione.

Dei sette condannati a morte per i fatti della Rosa bianca Sophie Scholl fu la prima a finire sotto la ghigliottina. Sarà lei a diventare a un certo punto l’icona del gruppo e tra le grandi figure storiche del Novecento.

Breve biografia

Sophie Scholl nacque nella città tedesca di Forchtenberg il 9 maggio 1921 e fu la quarta tra sei fratelli: IngeHans, Elisabeth, Sophie, Werner e Thilde. Successivamente la famiglia si trasferì a Ulm, dove lavorava il padre. Venne educata in parte secondo i principi della chiesa luterana, poiché la madre Magdalena, sino al matrimonio, era stata diaconessa, ed in parte secondo precetti cattolici, perché suo padre Robert Scholl era un liberale cattolico, oltre che sindaco di Forchtenberg. Ebbe una buona educazione e visse un’infanzia spensierata.

Nel 1933 venne iscritta come tutti i ragazzi tedeschi alla gioventù hitleriana ed inizialmente subì il fascino della propaganda nazista. Questa fase tuttavia durò relativamente poco perché rimase delusa dall’ideologia che l’organizzazione trasmetteva. La sua preparazione personale e religiosa la portò ad allontanarsi dal modello hitleriano e, con gli amici ed il fratello Hans si avvicinò sempre più all’insegnamento evangelico e fece sue le ragioni di un cristianesimo lontano dal potere politico. In quel periodo lesse molti autori che trattavano del rinnovamento cattolico francese e questo rese sempre più sicura la sua vicinanza alla chiesa cattolica.

In seguito conobbe Otto Aicher, che viveva in un quartiere di Ulm con una forte presenza cattolica che opponeva resistenza al nazismo. Otto le fece conoscere le posizioni politiche del movimento giovanile “Sorgente di vita”, allora guidato dal sacerdote d’origine italiana Romano Guardini, che proponeva Gesù come la sola guida per la gioventù.

Nel 1940 Sophie trovò lavoro come maestra d’asilo e venne poi costretta a servire come ausiliaria per sei mesi in un istituto statale. Il fratello intanto era stato mandato al fronte orientale ed aveva assistito alle atrocità commesse dalle SS contro gli ebrei. Al suo ritorno a Monaco di Baviera si unì agli studenti che frequentavano l’Università Ludwig Maximilian, tra i quali Sophie, per discutere della loro opposizione al regime nazista. La primavera del 1941 si incontrarono così i membri della futura Rosa Bianca, formata da intellettuali cattolici anti-nazisti e tra il 1941 ed il 1942 i giovani oppositori, grazie alla loro preparazione ed alle convinzioni politiche e religiose, iniziarono a pensare a come pubblicizzare le loro idee. La decisione fu quella di preparare volantini da distribuire tra la popolazione in modo da pubblicizzare la resistenza passiva all’impegno militare nazista.

Tra giugno e luglio 1942 il gruppo della Rosa Bianca distribuì centinaia di copie di volantini in modi diversi: spedendoli a indirizzi scelti casualmente, lasciandoli alle fermate dei mezzi pubblici o nelle cabine telefoniche. Il loro tentativo voleva indurre chi leggeva ad obbedire ad una legge morale superiore e a rifiutare il militarismo.

Il 18 febbraio 1943, mentre distribuiva alcuni volantini all’Università di Monaco, Sophie fu scoperta dal custode, denunciata e fatta arrestare, col fratello. Venne sottoposta per quattro giorni a interrogatorio da parte della Gestapo, fu riconosciuta colpevole di alto tradimento e processata insieme al fratello Hans e all’amico Christoph Probst, che nel frattempo era stato arrestato anche lui. I tre non tradirono i loro compagni e si addossarono ogni responsabilità. Non accettarono di firmare nessuna ritrattazione, perché affermavano di aver agito secondo coscienza e per il vero bene del popolo tedesco.

Robert Mohr, l’uomo della Gestapo che la interrogò, le chiese

«… non si sente colpevole di aver diffuso e aiutato la Resistenza, mentre i nostri soldati combattevano a Stalingrado? Non prova dispiacere per questo?»

Lei rispose: 

«No, al contrario! Credo di aver fatto la miglior cosa per il mio popolo e per tutti gli uomini. Non mi pento di nulla e mi assumo la pena!»

Il 22 febbraio 1943 si celebrò il processo a Monaco. I tre ragazzi furono condannati a morte dal Tribunale del Popolo, presieduto dal giudice-boia di Hitler, Roland Freisler. Furono subito dopo condotti nell’edificio dove avvenivano le esecuzioni capitali, alla prigione di Stadelheim, ed i loro genitori chiesero di vederli per l’ultima volta, incontro che fu loro concesso, cosa mai accaduta durante il Terzo Reich.

I tre amici furono ghigliottinati lo stesso giorno nel cortile della prigione di Monaco, Stadelheim, dal boia Johann Reichhart. Andò al patibolo con una gamba rotta, le tracce di pesanti percosse e torture subite in carcere. Le ultime parole di Sophie furono:

«Come possiamo aspettarci che la giustizia prevalga quando non c’è quasi nessuno disposto a dare se stesso individualmente per una giusta causa? È una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte, se attraverso di noi migliaia di persone sono risvegliate e suscitate all’azione?»

In un angolo del cimitero di Monaco di Baviera, a Stadelheim, riposano i due fratelli. Le tombe sono due croci di legno scuro, unite da un solo braccio trasversale.

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