
di Giuseppe Surace
Chi sei e di cosa ti occupi?
È sempre molto difficile se non impossibile riuscire a rispondere alla domanda “chi sono?”, perché significherebbe dover racchiudere il mistero della persona in poche parole, mai sufficienti a definirla. Tuttavia alle soglie dei 45 anni, e quindi di un’età adulta in cui si sente il bisogno di sintetizzare e concentrare il nucleo della propria esistenza, credo che alcuni termini possano racchiudere una buona parte di ciò che sono. Sono una donna in cammino, una consacrata profondamente amata e innamorata del mio Dio, un’educatrice dei giovani, una persona fondamentalmente felice. L’aspetto che sento particolarmente intenso in questo momento storico della mia vita è quello dell’essere in movimento, in un processo di crescita e di sviluppo che non ha mai termine perché ha una meta molto alta, quella della piena maturità a immagine di Cristo. In questo processo evolutivo e di maturazione credo di poter dire che la definizione di me è in stretta connessione con ciò di cui mi occupo; dopo la professione perpetua dei voti la mia formazione si è diretta in maniera specifica verso l’educazione e la formazione vocazionale. Nel corso di studi presso la Università Pontifica Salesiana ha iniziato a diventare sempre più chiara in me la mia personale chiamata all’interno della vocazione di Figlia della Chiesa: dalla pastorale giovanile e vocazionale, alla formazione iniziale fino alla pastorale universitaria di cui mi occupo attualmente, gli ambiti educativi nei quali ho svolto il mio servizio mi hanno svelato la mia grande passione per la formazione e la crescita dei giovani.
Un’immagine, un fatto, una storia che meglio parla di te e della tua relazione/vocazione con Dio…
La mia storia vocazionale non è stata l’esperienza di una conversione straordinaria; sin da piccola ho sempre camminato accanto alla via del Signore e non me ne sono mai distanziata di molto; andavo in chiesa la domenica, credevo nell’esistenza di Dio, ero tutto sommato una brava ragazza, una cristiana senza infamia e senza lode. Tuttavia oggi posso dire che proprio questa è stata la straordinarietà della mia chiamata, l’aver compreso che in realtà la mia strada e quella di Dio erano come strade parallele che non si sarebbero mai davvero incontrate fino a quando non ho incrociato il volto concreto di Cristo, il suo sguardo che ti entra dentro e ti ama e ti rivela il tuo desiderio profondo: amare così come senti di essere amata perché è questo che dà vero senso e gusto alla vita, allo scorrere dei giorni. Prima di riconoscere la mia chiamata avevo intrapreso gli studi di scienze infermieristiche e ricordo che avrei voluto fare la specializzazione in ostetricia: mi entusiasmava l’idea di far venire alla luce i bambini, di aiutare a generare la vita. Oggi ho capito come anche quel desiderio facesse parte della quadratura del cerchio: accompagnare i giovani nella sfida della crescita è davvero come stare in sala parto, è farli venire fuori attraverso una lotta faticosa, proprio come lo è il momento della nascita, curarne e custodire i tempi delicati e di sviluppo perché venga fuori l’uomo nuovo, il volto vero di un figlio di Dio, così come il Padre lo ha desiderato. È faticoso e ci si sporca le mani e si ferisce il cuore, ma quando il miracolo della vita viene alla luce quanta gioia si prova!
Come Dio parla nel tuo quotidiano?
Sto imparando che Dio è come un marito che non smette mai di stupirti, capace di creare e donarti sempre novità in tutte le situazioni, soprattutto in quelle più improbabili. Basta avere occhi per vedere e fermarsi ad ascoltare la voce che parla attraverso il silenzio sottile delle persone, delle circostanze più anonime, apparentemente silenziose ma solo perché più profonde e non superficiali come i rumori del mondo.
Chi sono per te oggi gli ultimi, i più fragili, le persone di cui sei chiamata a prenderti cura e quale è il tuo rapporto con loro?
La mia missione in questi ultimi due anni, come dicevo, è nella pastorale universitaria; è una sfida interessante perché siamo chiamate ad accompagnare i giovani che si affacciano nel mondo degli adulti, con le prime responsabilità e le prime esperienze di distacco dal nido della famiglia di origine, con l’elaborazione che tutto questo comporta circa la propria identità in essere e in divenire. Trovo che oggi i giovani sono da considerarsi tra le categorie dei più fragili soprattutto perché la società consumista non ha un vero interesse per loro, se non come potenziali e proficui acquirenti e consumatori per soddisfare inutili bisogni che in realtà non hanno. Non ci si sta preoccupando di consegnare loro un mondo migliore, più pulito, più giusto. Il giovane di oggi è l’uomo di domani, ma che idea di uomo abbiamo oggi? Come comunità di religiose che vive in mezzo ai giovani abbiamo fatto la scelta di spalancare le porte della nostra casa, oltre che del cuore, perché in una condivisione anche ordinaria della quotidianità i ragazzi possano sentirci più vicine, sorelle e madri in Cristo a cui appoggiarsi nei momenti sia di gioia che di fatica, aiutandoli a dare ascolto a quelle istanze di bene, di valori alti, trascendenti che ogni essere umano ha in sé e che il mondo oggi non aiuta ad ascoltare, ideali che richiedono anche il sacrificio e il duro lavoro per perseguirli, ma che meritano di spenderci la vita.
Un messaggio per i giovani e uno per i loro educatori
Ai giovani sento di dire di maturare un sano spirito critico, non di protesta e basta; non accogliere qualsiasi proposta di massa venga dalle mode, dalle tendenze, ma ascolta la tua unicità per capire qual è il posto speciale e unico che sei chiamato ad occupare nel mondo. Ma non farlo da solo: cerca delle guide autorevoli, di cui ti fidi perché vivono in prima persona ciò che proclamano, che sappiano con amorevolezza e giusto distacco accompagnarti nella ricerca di te stesso.
Agli educatori vorrei dire di fidarsi delle possibilità dei giovani; date loro tempo per crescere e spazio per esprimersi e fatevi interpellare dalla loro genuinità che non ammette maschere e mezze misure, perché se possiamo continuare a crescere è anche grazie alla spinta che ci offrono loro.
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