
Perché le scarpette rosse sono il simbolo della lotta contro la violenza sulle donne? E qual é il significato e la storia di questo simbolo diventato ormai universale?
Da qualche anno le scarpette rosse sono il simbolo più utilizzato nella lotta contro la violenza sulle donne. Scarpette che rappresentano appunto tutte quelle donne private della libertà, ma anche e soprattutto le donne costrette a subire maltrattamenti e violenza, simboleggiati dal rosso acceso. Ma come hanno fatto a diventare l’emblema principale di un tema tanto importante?
Tutto è iniziato nel 2009. L’artista messicana Elina Chauvet creò un’installazione davanti al consolato messicano a El Paso, in Texas: “Zapatos Rojos”, per denunciare gli abusi sulle donne e ricordare i femminicidi perpetrati nella città di Juarez. Scarpe rosse a rappresentare le vittime della violenza e le donne che non potevano più indossarle.
Da allora le scarpette rosse sono diventate più di un simbolo, sono un’icona, uno stendardo della lotta alla violenza di ogni tipo. Ma perché proprio questo tipo di scarpe? Al di là dei numerosi riferimenti anche letterari, dalla favola di Andersen al mago di Oz, la scarpa rossa è stata spesso vista come sinonimo di indipendenza ed emancipazione nella donna. Questo proprio per il colore, il rosso, che a seconda delle culture assume un diverso significato. In occidente per esempio è il colore dell’amore, della passione, ma anche del potere e della forza.
Sono diventate l’emblema della giornata internazionale istituita dall’ONU nel dicembre 1999, e che cade ogni anno il 25 novembre. Una data non casuale. Fu in quel giorno, infatti, che nella Repubblica Dominicana furono assassinate le sorelle Mirabel, Patria, Minerva e Maria Teresa, passate alla storia come le farfalle, sempre pronte a lottare in difesa dei propri diritti.
Una tragedia che non passò inosservata, simbolo della gravità di un problema che affligge tutto il mondo, come segnala l’ONU. Un fenomeno che non conosce barriere di classi sociali, nazionalità, livello d’istruzione. Un dramma che ha origini arcaiche, molto difficili da ricostruire, ma che porta oggi a una situazione inaccettabile: il 35% delle donne ha subito una qualche forma di violenza fisica o psicologica, ma in tutto il mondo sono solo 119 paesi che ad oggi hanno adottato leggi contro la violenza domestica.
Io, come forse alcuni di voi sanno, sono un runner, e quindi corro, quasi quotidianamente, per le vie delle due città che più mi appartengono: Roma e Milano. E correndo scopro le bellezze delle città, ma anche i suoi messaggi pieni di significato. E correndo a Roma tra le vie di San Lorenzo, un muro, una volta mi ha amaramente colpito. Un lungo, lunghissimo, (troppo lungo!!!) muro dipinto di rosso, in via dei Sardi, con una lunga serie di sagome bianche che si tengono la mano l’una con l’altra. Ho poi scoperto essere un lavoro di Elisa Caracciolo presentato proprio il 25 novembre ma del 2012. 107 sagome a cui se ne aggiunsero l’anno seguente altre 162. Sagome che non hanno volti, che sono tutte uguali e senza tratti distintivi, eccezion fatta per la targhetta che reca il nome di ognuna di loro, e che rappresentano una situazione universale, che accomuna, purtroppo, ogni genere di classe o ambiente sociale. Ogni sagoma è infatti la vittima di una violenza, una donna resa muta da un gesto che non aveva richiesto e che certamente non aveva meritato. Un silenzio, il loro, che grida! E vi assicuro, è un grido struggente che non può lasciare indifferenti. Uno dei muri più profondi che abbia mai incontrato
E da milanese vi voglio poi raccontare un progetto divulgativo semplice ma molto d’impatto, quello portato avanti dall’associazione or.me. – ortica memoria: il progetto “scarpette rosse”, un’installazione artistica appunto, che ha coinvolto i quartieri milanesi tra Ortica e Cimiano direttamente ispirata a Zapatos Rojos. Un’opera d’arte partecipata realizzata grazie al contributo volontario di singoli cittadini e di associazioni di quartiere.
Il Progetto scarpette rosse è una sorta di via crucis laica, articolata in sette stazioni che ospitano un numero variabile di scarpette rosse e di targhe commemorative, dedicate alle donne vittime di violenza durante il periodo del lockdown. Un modo semplice per lasciare traccia di ciò che le donne hanno vissuto e vivono ancora ogni giorno, la paura che provano, il sangue che versano. Le targhe commemorative raccontano il loro calvario, la storia della violenza subita, rielaborata dalla drammaturga Elena Cerasetti in forma di monologo interiore, per dare voce a chi una voce non l’ha più. Ma le targhette ci parlano anche delle donne che invece ce l’hanno fatta a uscire da questa terribile spirale di violenza ed odio e che siano di esempio e speranza per tutte! L’obiettivo del progetto è tenere viva l’attenzione sul dramma del femminicidio e al contempo ricordare che comunicare, fare rete, creare spazi di ascolto sia un mezzo importante e fondamentale per iniziare a combattere il problema!

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