La Redazione
Ciao Rosaria, ciao Grazia, come state?
Bene anche se abbastanza stanche, oltre alle attività ordinarie ne abbiamo tante altre legate al mese di novembre, in particolare per la giornata internazionale contro la violenza di genere, con partecipazioni a convegni, interviste, testimonianze…
Innanzitutto, grazie per il tempo che ci state dedicando, sappiamo quanto è difficile per voi trovare uno spazio per chiunque ve lo chieda. A noi che ci occupiamo del giornalino ci sembrava importante, in questo numero speciale che dedichiamo alla giornata internazionale contro la violenza sulle donne, sentire anche la vostra voce. Diversi di noi vi conoscono, siete venute a Roma, nel nostro quartiere già diversi anni fa, nella scuola di Fidene, la “Nobel”, nel centro anziani di largo Santa Felicita, a raccontarci di voi, delle vostre esperienze.
La vostra storia, difficile e dolorosa, che vi ha lasciato strascichi fisici e psicologici, racconta di forme di violenza di natura diversa vissuti all’interno delle mura domestiche e non solo. Dopo esserne uscite siete diventate portavoce di una speranza per tutte le donne che si trovano a vivere una condizione simile di estremo disagio e fragilità e che seguite e assistete.
Comincio con la prima domanda, ma poi ci facciamo prendere dalla conversazione…
In base alle vostre esperienze, quali aspetti accomunano le diverse storie?
Il discorso è di fondo e, in realtà, dovremmo stare attenti ai campanelli d’allarme che ci sono e sono evidenti. Le modalità messe in atto dagli uomini violenti sono sempre le stesse, così come le dinamiche per le donne sono quelle di tacere e subire. Per vergogna, per paura, anche quella di non essere credute.
Questo capita, anche negli ambiti che dovrebbero accogliere e proteggere le vittime. Infatti non è raro dover subire anche un atteggiamento di violenza istituzionale, “vittimizzazione secondaria” che si somma a quella originaria. C’è una buona parte di “addetti ai lavori”, nel mondo giudiziario, ancora troppo “discrezionale”, impreparato e poco formato a trattare la violenza di genere. Che interpreta e applica le norme con gli occhi di una società impregnata di patriarcato. Purtroppo, l’Italia resta e lo sarà per molto tempo, tra i fanalini di coda in merito al rispetto dei diritti civili in generale e a quelli delle donne, in particolare, tanto che periodicamente viene ammonita e sanzionata dalla Comunità Europea.
Quando la donna, già svuotata psicologicamente, stremata fisicamente, trova il coraggio e la forza di dire “basta” si trova ancora di fronte a tanti pregiudizi. Per questo, spesso, torna indietro. C’è anche la paura che i figli minori le possano essere sottratti, cosa non rara, e questo la porta a ritornare sui suoi passi e continuare a subire, nella remota speranza che qualcosa cambi e restituisca una madre, un padre, una famiglia. …ma di quale famiglia stiamo parlando? Quella nella quale i figli assistono alle violenze (violenza assistita) e potranno maturare a loro volta un modello comportamentale tossico, che facilmente potrà sfociare in altra violenza o in chiusura sociale. Questo non è un concetto sano e non deve passare.
Una delle violenze è quella economica, che possibilità vengono offerte in questo caso?
Ultimamente si sta mettendo su un Osservatorio sulla violenza economica per portare dati nuovi per un percorso di sopravvivenza nel momento in cui la coppia si separa, oltre all’assegno previsto per il mantenimento dei minori. Il condizionamento economico non è disgiunto da quello psicologico e nasce prima. Una sorta di non indipendenza che spesso genera comportamenti più marcati. Una forma di controllo che si manifesta in vario modo. Dai banali controlli delle spese fatte e degli scontrini, a quello del conto in banca, spesso anche cointestato, che la donna non gestisce autonomamente. È l’uomo a “doversi occupare” degli aspetti economici, così come appare “normale” che la donna guadagni meno dell’uomo e non viceversa.
Come riconoscere una relazione violenta e quindi poterla prevenire?
Una relazione violenta si riconosce da piccoli gesti, dai campanelli di allarme di cui parlavamo prima….La violenza contro una donna è un’azione deliberata non un’azione di una persona incapace di intendere e di volere, come spesso si vuol far credere, perché il gesto folle si compie verso chiunque. Quando un uomo usa violenza solo nei confronti di una donna che, per lo più, ritiene “sua”, ne vuole sottomettere la volontà ai suoi arbitri. La donna non è più padrona della sua vita, l’uomo che dice di amarla, la priva della libertà anche solo di decidere il modo vestirsi, di scegliere le amicizie, dove andare…
In base alla Convenzione di Istanbul, il terzo settore, le associazioni sono fondamentali nel creare una rete di prevenzione, di azione e di cura insieme alle istituzioni, agli ospedali, alla magistratura, con case di protezione, centri antiviolenza. Le associazioni hanno un ruolo fondamentale. La denuncia non basta, c’è tutto un percorso di sostegno, di valutazione del rischio e di suggerimenti comportamentali a supporto e a tutela della donna . Ogni vicenda è diversa e va seguita con attenzione. Le vittime che intendono denunciare vanno indirizzate e mai forzate. Vanno seguite con competenza e vicinanza, con grande delicatezza. Certo con pragmatismo ma senza spaventarle, rispetto alle conseguenze, perché il coraggio dettato dal momento di disperazione, potrebbe venire meno , farla ritornare sui suoi passi e portarla a chiudersi nuovamente.
In caso di emergenza cosa fare per difendersi dalla violenza soprattutto se si hanno figli minori?
Ovviamente le emergenze gravi ed immediate, vanno affrontate chiamando le forze dell’ordine. Da alcuni anni, pero, è stata introdotta una normativa che prevede, oltre alla denuncia di chi subisce violenza, anche la segnalazione, a carabinieri e polizia, da parte di qualsiasi persona estranea, che assiste o è al corrente dei fatti. Da qui parte comunque un’indagine che, magari, non porta necessariamente ad un processo, ma rappresenta un precedente importante in caso di recidiva. Oppure, in situazioni di violenza perpetuata, ovviamente, chiamando il 1522.
Quanto è importante occuparsi anche del recupero dei maltrattanti, quasi sempre uomini. Ci sono dei centri specifici per la rieducazione alle relazioni umane?
Entrambi, la donna e l’uomo hanno bisogno di un percorso di analisi con figure professionali diverse. Sì, il recupero psichico dei maltrattanti è importante, ma nell’ottica di un recupero personale non di coppia perché, soprattutto Grazia aggiunge, non sono convinta che l’uomo violento possa riabilitarsi e ancora meno che la coppia possa ricostituirsi. Intravedo in questo senso due potenziali rischi: che la donna pensi di poter tornare indietro e che l’uomo lo utilizzi come un percorso per avere una riduzione di pena.
Raccontate la vostra esperienza a platee diverse, tra queste quella degli adolescenti credo sia tra le più impegnative. Perché è importante veicolare questi messaggi nelle scuole, tra i ragazzi? Come accolgono questi temi? Che reazioni avete raccolto, che sensazioni vi hanno trasmesso?
Con una risposta corale e liberatoria: i ragazzi rappresentano la parte più bella della nostra attività. Quando parliamo con loro capiamo che ha senso tutto quello che facciamo e che il 25 novembre e l’otto marzo, non sono solo date da tenere a mente. Per i ragazzi non è così, parlando con loro percepiamo che qualcosa può cambiare, che sono veramente il futuro dell’umanità e in loro riponiamo tanta fiducia. Sono interessati, partecipano, ascoltano le nostre testimonianze e dalle loro reazioni si percepiscono anche le loro esperienze personali. Si mostrano senza nascondersi. Le loro emozioni sono lì, davanti a noi, attraverso i volti, le espressioni, a volte, con le loro lacrime, alla ricerca di un aiuto per sé stessi o per coloro che amano.
Conclude Rosaria citando la storia di una ragazza, di cui, per ovvi motivi, non si possono fare riferimenti.
Stuprata da bambina, per molti anni dal patrigno, con una madre che fingeva di non sapere, oggi, grazie ad un percorso importante e con il nostro aiuto, questa ragazza ha un compagno che ama, che la ama, e un figlio che adorano. Ecco, queste sono le storie che ci danno gioia e ci ripagano, che danno un senso a tutto quello che facciamo e riscattano quella sofferenza per troppi anni taciuta.
Grazie ancora di cuore Rosaria e Grazia da parte di tutti noi e non perdiamoci di vista!
Rispondi