

Da troppo tempo non piove a Roma e la mancanza d’acqua stravolge tutto; mancano poco meno di due settimane, e poi Roma…zac!….e chiude i rubinetti dell’acqua, la gente ha sete, e custodisce l’acqua ricevuta in dono dalla Valtellina come il Sacro Graal. Il tutto in una Capitale dai toni aridi e ‘irrespirabili’, in cui si intrecciano e si evolvono le storie dei protagonisti, tutte legate in un unico disegno. Con Siccità, Paolo Virzì torna alla commedia corale, una sorta di bilancio degli ultimi anni di pandemia. Dopo Notti Magiche (2018), con una sceneggiatura corale, Paolo Virzì stavolta lascia la sua Livorno di ‘Ovosodo’ e ‘La Prima Cosa Bella ‘ per spostarsi a Roma, dove tutto si dipana attorno alle acque del Tevere, totalmente prosciugato, in secca e con scarafaggi – le blatte – che invadono strade e case, per uno scenario davvero apocalittico, ma non troppo lontano da quello attuale. Risulta essere proprio questo il vero ‘coupe de theatre’ di Siccità, le immagini del Tevere in secca nel centro di Roma, una delle illuminazioni di maggiore impatto del nostro cinema più̀ recente.
Presentato fuori concorso alla 79ª Mostra Internazionale di Venezia, nel film si muovono una serie di personaggi che inizialmente sembrano scollegati, ma nel corso del film si incontrano tutti, uno nella vita dell’altro: c’è una dottoressa che scopre una nuova epidemia (Claudia Pandolfi), un carcerato che evade per sbaglio (Silvio Orlando), un tassista sonnolente (Valerio Mastandrea), e non può mancare un ”professore” che invade i salotti e i telegiornali (Diego Ribon); e poi, Tommaso Ragno nei panni di un egocentrico ex attore disoccupato oggi influencer dipendente dai social, mentre sua moglie (Elena Lietti) si divide tra il lavoro di cassiera e il sex texting clandestino con l’amante, per finire con lui, Max Tortora, personaggio che vale tutto il film: pieno di umanità, è un miserabile ex commerciante di camicie in bancarotta, che vive in auto con il suo cane ed è l’immagine di una società sul lastrico, esasperata e in cui ringhiare contro l’altro è più facile che guardare in faccia la propria miseria. La bravura di tutti questi attori, unita alla sceneggiatura, portano il film ad essere appassionante, sarcastico e profondo, mettendoci davanti alla società odierna e ad un’Italia perennemente in crisi.
C’è però il rischio che a mescolare così tanti argomenti (presenti anche accenni alla vita familiare e alle sue continue ipocrisie), si ostacola quella sensazione di leggerezza tipica dei film di Virzì, ma il risultato finale risulta graffiante e pieno di umanità, con una luce particolare sulle meschinità umane e senza nessun ammiccamento: drammatico ma non straziante, divertente ma mai trascinato sul ridicolo.
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