
È il diciottesimo compleanno di Giulia, figlia maggiore di una famiglia di Gioia Tauro. Sua sorella Chiara di anni ne ha 15 ed è nella fase della vita in cui comincia a porsi molte domande. Quando però suo padre Claudio sfugge alle forze dell’ordine le domande che Chiara pone alla sua famiglia diventano scomode: non è abbastanza grande per capire, non sa che ci sono cose che è meglio non sapere e cose che è meglio non dire.
Siamo di fronte ad un intenso racconto familiare che riesce a parlare della criminalità organizzata da un punto di vista interno, veritiero e per questo tutto da scoprire. Si parla di ‘ndrangheta, il che potrebbe portare facilmente verso violenza, adrenalina e scontri armati. Non è affatto il caso di “A Chiara”, che rappresenta a tutti gli effetti un racconto familiare, in cui si rompe la bolla creatasi intorno alla narrazione della criminalità in Italia, dando una sfumatura umana a una dimensione troppo spesso stereotipata. La storia è ispirata a fatti accaduti ad altre persone, ma non si tratta del classico ‘mafia movie’, ma di un affresco, privo di pregiudizi e banalità, su quella che è la situazione nel citato quartiere calabrese a Gioia Tauro.
Jonas Carpignano, munito di macchina da presa a mano, riesce a raccontare dall’interno anziché dall’esterno questo complesso universo, mostrando che la vita dei cosiddetti “affiliati” in fondo non differisce più di tanto da quella degli altri. Ben disegnato il personaggio di questa adolescente, recitato da Swamy Rotolo, unica attrice professionista in un cast di non attori (si tratta della vera famiglia della Rotolo), peraltro premiata al Festival di Cannes.
Il regista riesce a fare immergere lo spettatore nella storia, creando in lui autentico interesse per la protagonista e i vari personaggi. I precedenti film di Carpignano (“Mediterranea”, 2015; “A Ciambra”, 2017) sono stati accostati al cosiddetto cinema del reale, con la predilezione verso attori non professionisti, contesti reali in cui trascorrere tendenzialmente lungo tempo insieme a coloro che diverranno personaggi, in un processo spontaneo in cui la sceneggiatura non viene prima, ma si sviluppa insieme o dopo le riprese. Si chiude così la ‘trilogia’ dedicata a Gioia Tauro.
Singolare poi che l’inizio del film si svolge durante la festa dei 18 anni di Giulia, così come la fine ambientata nuovamente su una festa di 18 anni, in modo deliberatamente circolare. Racchiusa tra queste due feste, la drammaturgia è, chiaramente, studiata con attenzione prima delle riprese.

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