Roma vista da fuori

di Francesca Trapasso

Perché “Roma vista da fuori”.

Prima di incamminarci credo sia necessaria una breve premessa. In questo periodo di estrema confusione sentiamo in tanti la necessità di allentare la tensione e uscire di casa per godersi un po’ di primavera imminente, magari con la famiglia, può essere di aiuto.

Perché “Roma vista da fuori”? Perché abbiamo la fortuna di vivere in una città da tutti definita un “museo a cielo aperto”, e camminare tra i monumenti che il mondo ci invidia può permetterci di riappropriarci delle nostre radici, tornare alle origini, conoscere e far conoscere ai nostri cari tutto il bello che abbiamo a disposizione e che spesso guardiamo senza vedere per fretta e abitudine. Non risolverà i problemi, ma aiuterà sicuramente ad alleggerire la testa. Sperando che questa immersione nell’arte e nella storia possa avere anche una piccolissima utilità, auguro un buon cammino a chiunque voglia intraprenderlo …

Per la lunghezza del percorso e per la vastità dell’argomento, ho pensato di dividere in blocchi le descrizioni.

  1. Da Porta Maggiore a san Giovanni in Laterano

Partiamo entrando nella città eterna dalla porta principale: Porta Maggiore.

In realtà la porta era in origine parte dell’acquedotto claudio, iniziato da Caligola, insieme a quello di Anio Novus, nel 38 d.C. e terminato, appunto, dall’imperatore Claudio nel 52 d.C. Gli acquedotti partivano dalla valle dell’Aniene, percorrevano i monti tiburtini e prenestini, attraversavano le colline di Gallicano e Colonna fino a Capannelle e da lì raggiungevano Roma nel punto più elevato, appunto Porta Maggiore, in cui convergevano otto degli undici acquedotti di Roma, dove le acque venivano smistate nelle varie zone della città. Le grandi arcate che costituiscono la porta sono infatti sovrastate da un attico con tre fasce di cornici, delle quali la superiore costituiva il canale dell’Anio Novus e la centrale quello dell’acquedotto Claudio, mentre i piloni che intervallano le arcate sono aperti da finestre inquadrate da un timpano e due colonne corinzie.  Al di sotto dei fornici monumentali si snodavano le vie Prenestina e Labicana, in un percorso leggermente diverso da quello attuale.

Verso il 271 la monumentale arcata venne inglobata nelle mura aureliane, diventando così una porta a pieno titolo.

Nel 402, come riporta un’iscrizione nel monumento, venne restaurata e fortificata dall’imperatore Onorio con un bastione e due torri di guardia, che vennero poi abbattute nel 1838, con i restauri di papa Gregorio XVI.

Nel corso di questi lavori di restauro, dalla demolizione di una delle torri emerse una curiosa costruzione che, come riportato nelle iscrizioni sui tre lati, si scoprì essere la tomba di un fornaio, Eurisace, e di sua moglie Atistia, edificata negli anni tra il 30 e il 20 a.C.

La struttura è costituita da una serie di cilindri nella parte inferiore e da bocche rotonde nella parte superiore, esatta riproduzione dei forni dell’epoca, mentre nel fregio sovrastante si possono ancora vedere rappresentate le varie fasi della panificazione.

L’iscrizione sul lato ovest del monumento ben specifica il ruolo e le qualifiche del proprietario: “Est hoc monimentum Marcei Vergilei Eurysacis pistoris, redemptoris, apparet”: “Questo sepolcro appartiene a Marco Virgilio Eurisace, fornaio, appaltatore, apparitore”. Eurisace, probabilmente un liberto arricchito, forniva il pane allo Stato, ed era inoltre subalterno di un personaggio di alto rango come un sacerdote o un magistrato.

Sempre nella stessa occasione venne ritrovata una delle due urne contenenti le ceneri dei coniugi, costruite a forma di cesta per il pane. L’urna ritrovata appartiene ad Atistia, ed è conservata al Museo Nazionale Romano, mentre il rilievo dei coniugi è ora visibile ai Musei Capitolini.

Le informazioni sui monumenti e sul percorso degli acquedotti sono state prese dal sito della sovrintendenza capitolina ai beni culturali.

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