di Simona Galia

Il 22 novembre 2021, le studentesse e gli studenti del Liceo Aristofane, Nomentano, Orazio e dell’IIS Pacinotti-Archimede hanno occupato le loro scuole. Nel Comunicato si legge: “per contestare la gestione dell’istruzione pubblica italiana degli ultimi anni e per proporre una scuola a misura di studente, aperta, sicura, accessibile ed inclusiva, che sappia ascoltarci, formarci e supportarci”, e ancora:” abbiamo il diritto ed il dovere di avere un ruolo nel dibattito pubblico in qualità di studenti e studentesse e futuro di questo paese”.
È un’occupazione che viene fuori anche dal vissuto dei ragazzi in questo ultimo anno.
Tra gli obiettivi ne ho scelto uno: “una scuola aperta anche il pomeriggio, che metta a disposizione spazi per la socialità, lo studio, i corsi extracurriculari, lo sport e la musica, in modo che diventi un punto di riferimento sul territorio e che si combatta la dispersione scolastica con un’arma in più”.
Certi atteggiamenti assunti da noi adulti, dirigenti scolastici compresi, come ad esempio chiedere la Dad per gli studenti contrari all’occupazione, hanno rischiato di mettere i ragazzi gli uni contro gli altri dividendoli in buoni e cattivi, chi vuole fare scuola e chi vuole perdere tempo, dimenticando che il raggiungimento degli obiettivi indicati nel comunicato andrebbe a beneficio di tutti. Anche la decisione di qualche Dirigente scolastico di punire con la sospensione alcuni studenti maggiorenni ritenuti promotori dell’occupazione, è stata percepita dai ragazzi, unanimemente, come un’ingiustizia perché hanno agito insieme e si sentono insieme ugualmente responsabili.
È un grave errore sottovalutare le loro idee e il disagio che emerge da queste forme di protesta, seppure estreme, piuttosto bisognerebbe ricorrere e incoraggiare un dialogo serio e maturo tra le parti.
Ognuno avrà le proprie motivazioni, ma il muro contro muro non ha mai funzionato. Dovremmo ascoltare questi ragazzi ed essere partecipi dei loro problemi anziché limitarci, a occupazione conclusa, a stilare un elenco puntuale e freddo dei danni arrecati alle strutture scolastiche (e poi ci sarebbe da chiedersi se si fosse a conoscenza delle reali condizioni della Scuola prima …).
Insomma, ognuno può fare qualcosa e adesso è il momento di agire.
Ho assistito alla presentazione dei libri di Mariapia Veladiano, “Oggi c’è scuola”, e di Dacia Maraini, “La scuola ci salverà”, durante l’incontro che si è tenuto al Liceo Nomentano “La scuola che vorrei” il 9 novembre scorso e vorrei condividere alcune riflessioni che mi sembrano importanti.
Entrambe le autrici hanno sostenuto che i ragazzi, uniti, hanno un grande potere, e che, da un certo punto di vista, in questo momento storico sono fortunati, perché siamo in una fase di ricostruzione dove le idee sono veramente più importanti dei soldi, che oggi, con l’arrivo del PNRR, sembrano esserci.
Infatti, molti sono i finanziamenti stanziati per costruire o innovare le scuole all’insegna dello spazio “utile”, per non essere più degli “aulifici”, per rendere la scuola un centro di aggregazione dove l’apprendimento è formativo al di là, se non al di sopra, dell’insegnamento che deve essere reciproco, docenti e discenti.
La Didattica a distanza (Dad), nell’emergenza pandemica che ancora viviamo, è stata ed è uno strumento fondamentale ma deve essere utilizzata solo per preservare la sicurezza di tutti. Il linguaggio poi è importante: si poteva chiamare “Scuola di prossimità” perché, in fondo, si è entrati nelle case e nelle famiglie scoprendo realtà diverse e toccando con mano che la preparazione dei ragazzi è il risultato di tante componenti tra cui le disuguaglianze sociali e ambientali.
Articolo 34
La scuola è aperta a tutti.
L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.
La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
E ‘stata sottolineata l’importanza delle biblioteche, del rapporto tra conoscenza e potere del linguaggio e delle parole.
Articolo 33
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
All’interno della scuola ci sono molti modelli positivi che dovrebbero emergere perché prevalga il desiderio umano di emularli eliminando o mettendo in secondo piano quelli sbagliati, che troppo spesso vengono proposti come vincenti. Il compito dei docenti dovrebbe essere anche quello di portare avanti il gruppo classe all’interno del quale valorizzare quei singoli che possono fare da traino per gli altri.
Tema altrettanto importante è la parità di genere nell’insegnamento. Le donne hanno sicuramente spazio nell’insegnamento, ma spesso è considerato di cura e non anche di competenza (non si tratta infatti di maternage). La cura deve esserci sempre e in tutto, ma non c’è differenza di metodo d’insegnamento solo perché si è donna e madre. Il docente, uomo o donna, ha il medesimo ruolo: educare, istruire, fare scuola con cura. È un percorso lungo e faticoso quello intrapreso dai ragazzi. Spero che, al di là dell’azione di forza, queste studentesse e studenti possano contare sul sostegno delle famiglie, di tutti gli organi preposti e di tutte le persone che agiscono nella Scuola e per la Scuola per riappropriarsi, a modo loro, del presente e del futuro.

Rispondi