di Chiara Cicconi
La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale dello Stato italiano, che in quanto tale, occupa il vertice della gerarchia delle fonti nell’ordinamento giuridico della Repubblica, vuol dire che ogni legge promulgata deve seguire gli articoli della Costituzione e non può violarli in alcun modo. È considerata una costituzione scritta, rigida, lunga, votata, laica, democratica, formata da 139 articoli.
Approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre seguente, è entrata in vigore il 1º gennaio 1948.
Ci furono diverse versioni, precedenti alla Costituzione della Repubblica del 1948, che vennero promulgate dai vari sovrani che regnavano sugli Stati prima dell’Unità d’Italia: la Costituzione siciliana del 1812, era una tipica costituzione concessa dal sovrano, e da un punto di vista giuridico si caratterizzava per la sua natura flessibile e modificabile tramite un atto legislativo ordinario. Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l’Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi.
Questo statuto corrispondeva a ciò che si definisce una “costituzione breve”, limitandosi a enunciare i diritti e a individuare la forma di governo. Tra i diritti veniva riconosciuto il principio di uguaglianza, la libertà individuale, l’inviolabilità del domicilio, la libertà di stampa e la libertà di riunione. Lo stato italiano nacque, da un punto di vista istituzionale, con una legge del 1861, che attribuisce a Vittorio Emanuele II, «re di Sardegna», e ai suoi successori, il titolo di «re, d’Italia».
Sempre nel 1848 Carlo Alberto di Savoia concesse lo Statuto Albertino.
Lo Statuto Albertino fu simile alle altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel 1848 e rese l’Italia una monarchia costituzionale ereditaria, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. Lo Statuto albertino rimase in vigore quasi 100 anni ovvero fino a quando entrò in vigore la Costituzione repubblicana.
Al termine della Prima guerra mondiale venne introdotto il suffragio universale maschile ai maggiori di 21 anni o chi avesse adempiuto al servizio militare.
Anche a causa della mancanza di rigidità dello Statuto, ritenuto irrevocabile nei principi ma modificabile tramite legge in molte delle sue proposizioni, con l’avvento del fascismo lo Stato fu deviato verso un regime autoritario dove le forme di libertà pubblica fin qui garantite vennero stravolte: le opposizioni vennero bloccate o eliminate, la Camera dei deputati fu abolita e sostituita dalla “Camera dei fasci e delle corporazioni”, il diritto di voto fu cancellato; diritti, come quello di riunione e di libertà di stampa, furono piegati in garanzia dello Stato fascista, mentre il partito unico fascista non funzionò come mezzo di partecipazione, ma come strumento di intruppamento della società civile e di mobilitazione politica pilotata dall’alto.
Il fascismo non si dotò mai di una propria costituzione e lo Statuto albertino non venne mai formalmente abolito, sebbene le leggi e le azioni del governo dittatoriale lo svuotarono completamente nella sostanza. Alcuni sostengono che lo Statuto venne violato già con la nomina di Mussolini a primo ministro, ottenuta con la forza in quanto, allora, era solo un rappresentante di una minoranza parlamentare.
Con il progredire e il delinearsi della situazione, con i partiti antifascisti che iniziavano a entrare nel governo, non fu possibile al re riproporre uno Statuto Albertino eventualmente modificato, e la stessa monarchia, giudicata compromessa con il precedente regime, era messa in discussione.
Nel giugno 1944, veniva decisa la convocazione di un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale, incaricata di scrivere una nuova carta costituzionale, mentre nel febbraio 1945 fu esteso il diritto di voto alle donne.
Dopo la cessazione delle ostilità, fu indetto il referendum per la scelta fra repubblica e monarchia (2 giugno 1946) che sancì la nascita della Repubblica Italiana.
Dopo sei anni dall’inizio della Seconda guerra mondiale e venti anni dall’inizio della dittatura, il 2 giugno 1946 si svolsero contemporaneamente il referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea Costituente, con la partecipazione dell’89% degli aventi diritto.
L’Assemblea stessa nominò quale Capo di Stato Provvisorio l’avvocato napoletano Enrico De Nicola.
Appena eletta, l’Assemblea nominò al suo interno una Commissione per la Costituzione, composta di 75 membri incaricati di stendere il progetto generale della carta costituzionale. A sua volta, la Commissione si suddivise in tre sottocommissioni: diritti e doveri dei cittadini, organizzazione costituzionale dello Stato e rapporti economici e sociali.
La maggioranza che elaborò e votò la Costituzione fu il frutto di un compromesso tra la sinistra e i cattolici sui principi fondamentali, anche se i liberali esercitarono un’influenza decisiva sui meccanismi istituzionali e in particolare la separazione dei poteri.
La Costituzione venne, infine, promulgata il 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
L’Assemblea Costituente, inoltre, si occupò di approvare la legge sulla stampa, la legge elettorale e gli statuti di quattro delle cinque regioni autonome.
La Corte costituzionale, prevista nell’articolo 134, trovò attuazione solo nel 1955.
I primi 12 articoli della Costituzione Italiana esprimono i principi su cui poggia la vita dello stato quindi i principi fondamentali e sono immodificabili; su di essi devono essere interpretate le norme costituzionali quindi non devono essere usate come espressioni politiche.
L’art. 2 riconosce le libertà civili. “La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. In questo caso si tratta di diritti primari, quali il diritto alla vita e alla salute e delle libertà civili affermatesi come la libertà di religione, la libertà d’associazione e di espressione.
Nell’art. 3 si afferma il principio di eguaglianza dei cittadini, fondamentale per il raggiungimento della democrazia. Così recita la prima parte dell’articolo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Quindi pone il divieto di operare discriminazioni irragionevoli ogni volta che situazioni uguali sono trattate in modo diverso diventando principio di ragionevolezza della legge. E nella seconda parte dell’articolo tra l’altro dice ancora che: “è compito della Repubblica rimuovere ostacoli di ordine economico e sociale”.
L’art. 4 rafforza l’art. 1, in particolare: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
La Costituzione italiana può essere modificata solo seguendo un preciso iter e non con leggi ordinarie.
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