
Quella che oggi è considerata la zona nord-est della città di Roma, fino agli anni ’50 del 20° secolo era area di pascoli per il bestiame.
Ma proprio quella collina, adiacente alla Via Salaria e al fiume Tevere, ha una storia molto antica, più di Roma stessa.
Dionisio D’Alicarnasso, storico greco di età augustea, dopo vari studi dichiara gli Etruschi un popolo «non venuto di fuori ma autoctono», col nome indigeno di Rasenna.
Sono probabilmente più vicini al vero coloro che affermano che la nazione etrusca non proviene da nessun luogo, ma che è invece originaria del paese.
Considerati i legami tra l’etrusco e le lingue preindoeuropee del Mediterraneo, il popolo etrusco sarebbe un residuo di queste più antiche popolazioni.
Gli Etruschi dominarono per lungo tratto Roma durante l’età regia, come civiltà maestra di manufatti, cultura ed arte. Non è difficile vedere le due epoche: i Romani lavoravano a pietra e mattoni, gli Etruschi a enormi blocchi di tufo. Gli etruschi insegnarono ai Romani più rozzi, anche se più organizzati e combattivi, varie arti.
Tra i centri prelatini appare anche Fidenae.
Ne parla già Virgilio nella sua opera, l’Eneide che scrisse dal 29 al 19 a.C.
Nei Campi Elisi Enea incontra l’ombra del padre Anchise, morto durante il viaggio verso occidente, in Sicilia. Ed è Anchise a mostrare al figlio la lunga serie dei suoi discendenti che faranno la storia di Alba Longa e di Roma: da Silvio, l’ultimo figlio di Enea, al giovane Marcello, nipote di Augusto.
Questo è ciò che scrisse nel verso 770: “Guarda che giovani, guarda come appaiono forti! Guarda le loro tempie come sono ombreggiate dalla corona civica! Ti fonderanno sui monti la città di Fidene…”
Proprio per la sua posizione, situata a circa otto chilometri a nord dell’antica Roma, Fidenae occupava una posizione strategica, all’incrocio di vie commerciali tra Romani e Sabini e tra l’Etruria e la Campania. Era nota inoltre per la fertilità del territorio, dovuta anche alla vicinanza con il Tevere. Era quindi un territorio molto prospero e anche molto ambito.
Per molto tempo fu il primo centro latino oltre il confine settentrionale del territorio romano e spesso fu sottoposta all’influenza dell’etrusca Veio. Probabilmente finì definitivamente nell’orbita romana con la caduta della città etrusca e alcuni autori antichi raccontano che a quei tempi era quasi del tutto deserta. Assunse poi, e conservò a lungo, la funzione di centro amministrativo del territorio, come Municipium romano.
La città risulta menzionata già in età regia. Secondo Plutarco, Romolo non la distrusse, né la abbatté dalle fondamenta, al contrario fece di Fidene una colonia romana, dove insediò ben 2.500 coloni e lo stesso Livio la cita all’epoca dello scontro con Alba Longa.
Prima di venire sottomessa a Roma e divenirne una colonia, ci furono varie battaglie.
Nell’ultima di una lunga serie, i romani assediarono la città e riuscirono a farla cadere, e quindi saccheggiare, scavando delle gallerie che passavano sotto le mura.
«Di lì le (truppe etrusche) costrinse a riparare nella città di Fidene che circondò con un vallo. Ma la città, alta e ben fortificata, non poteva essere presa nemmeno con l’uso di scale, e l’assedio non serviva a nulla perché il frumento precedentemente raccolto non solo bastava alle necessità interne, ma avanzava. Perduta così ogni speranza sia di espugnare la città, sia di costringerla alla resa, il dittatore – che conosceva benissimo quella zona per la sua vicinanza a Roma – ordinò di scavare una galleria verso la cittadella, partendo dalla parte opposta della città, che risultava essere la meno vigilata essendo già ben protetta dalla sua stessa configurazione naturale. Poi, avanzando contro la città da punti diversissimi, dopo aver diviso in quattro gruppi le forze a disposizione – in maniera tale che ciascuno di essi potesse avvicendare l’altro durante la battaglia -, combattendo ininterrottamente giorno e notte il dittatore (Quinto Servilio Prisco Fidenate) riuscì a distrarre l’attenzione dei nemici dallo scavo. Finché, scavato tutto il monte, fu aperto un passaggio dal campo alla cittadella. E mentre gli Etruschi continuavano a concentrarsi su vane minacce, senza rendersi conto del vero pericolo, l’urlo dei nemici sopra le loro teste fece loro capire che la città era stata presa.» |
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 22.) |
Sulle pendici orientali della collina, lungo la via Salaria, fu costruita la curia fidenate, con un’iscrizione dedicata dal Senato di Fidene a M. Aurelius, qui scoperta nel 1889, insieme a resti di alcuni edifici.
Nel gennaio 2019 è stato inaugurato lo spazio espositivo “Fidenae alla porta di Roma” situato all’interno dell’omonimo centro commerciale.
L’area compresa tra via delle Vigne Nuove, il Grande Raccordo Anulare, il quartiere di Colle Salario e il viadotto dei Presidenti, corrispondente grosso modo all’antica tenuta Ridicicoli Maffei, negli ultimi venti anni è stata oggetto di un progetto urbanistico che ne ha mutato l’aspetto dando origine al quartiere Porta di Roma.
Questo territorio fu osservato e studiato, già negli anni settanta del Novecento, da Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli che nel volume Fidenae, edito nel 1986, segnalarono circa sessanta aree archeologiche. Partendo da questo lavoro di ricognizione la allora Soprintendenza Archeologica di Roma condusse una serie di campagne di scavo e successivamente, a partire dal 1998, coordinò le indagini preventive alla trasformazione urbanistica dell’area per il progetto Porta di Roma, ricerche che hanno incrementato i dati archeologici riguardanti il popolamento antico di questo territorio.
Le evidenze rinvenute coprono un arco cronologico che va dall’età del Bronzo – III millennio a.C. – fino alla tarda antichità e attestano una continua e diffusa occupazione dell’area: sono stati individuati dieci edifici a uso abitativo e/o produttivo, quindici assi viari, trentacinque nuclei sepolcrali, dieci edifici funerari, quindici cisterne, un acquedotto con pozzi d’ispezione, un’area sacra e opere agricole che ci permettono di ricostruire le tecniche di coltivazioni, piantumazione e drenaggio in uso nell’antichità.
Tra i reperti in mostra, il cranio del “Bambino di Fidene” che rappresenta la più antica testimonianza di intervento chirurgico di trapanazione del cranio. Quando venne scoperto nella borgata di Fidene, diciassette anni fa, per la sua unicità calamitò l’attenzione di tutto il mondo accademico: antropologi, medici, archeologi. Era la più antica testimonianza di un intervento chirurgico di trapanazione del cranio, un unicum nella storia della civiltà romana d’età imperiale. È il cosiddetto “Bambino di Fidene”, lo scheletro perfettamente conservato di un bimbo del II secolo d. C..
In questo primo articolo ho tenuto a ricordare gli antichi trascorsi della porzione di territorio che abitiamo. Nei prossimi numeri del giornale, invece, proverò a ricostruire gli avvenimenti del periodo dell’insediamento dagli anni ‘50 ad oggi.
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