di Nunzia De Capite (Ufficio Politiche Sociali di Caritas Italiana – http://www.caritas.it)
Chi sono oggi le persone che stanno subendo gli effetti più drammatici e duri della pandemia? Che tipo di povertà sta colpendo le nostre famiglie in questi mesi? E come possiamo e dobbiamo affrontarle? Per poter mettere in atto strategie di prossimità che siano adeguate “ai tempi e ai bisogni”, occorre capire che cosa sta accadendo. In questo ci vengono in aiuto i recenti dati dell’Istituto nazionale di statistica, pubblicati a marzo 2021, che ci dicono che i poveri assoluti, ovvero coloro che non hanno neanche il minimo indispensabile per vivere decentemente nel loro contesto di vita, nel nostro paese sono aumentati in un anno di più del 20%, raggiungendo il picco di 5,6 milioni di persone, il dato più alto dal 2005. Si tratta del 9% della popolazione italiana. E, d’altra parte, anche le rilevazioni condotte da Caritas Italiana nei mesi del lockdown avevano fatto emergere un quadro preoccupante con il raddoppio, nei soli mesi di marzo-maggio 2020, del numero di persone che si erano rivolte ai centri e servizi Caritas rispetto al 2019 e l’incremento del 25%, nel periodo settembre 2020 –marzo 2021, dei “nuovi poveri”.
E tuttavia dobbiamo dire che, nel caso dell’Italia, con la pandemia sono esplose situazioni che sono il frutto di processi lunghi che covano da anni nel nostro paese.
Come ricorda la Banca d’Italia, infatti, dal 2012 i redditi in Italia sono sotto il livello in cui si trovavano alla fine degli anni ’80 e dal 2006 il reddito delle famiglie più povere è calato più del doppio di quello delle famiglie più ricche. In queste condizioni, la pandemia ha fatto solo da detonatore, ma la miccia era già accesa.
Ecco ciò che è successo. A situazioni di disagio persistenti e difficili da sradicare e processi di impoverimento di lungo corso (dipendenza, fragilità psicologiche, solitudine, indebitamento, ecc.) si sono sommate, per via della pandemia, nuove storie di difficoltà economica: persone senza più un lavoro o in cassa integrazione in attesa del contributo, lavoratori irregolari con le attività ferme a causa del Covid, lavoratori precari senza protezione supportati con bonus dalla durata limitata e di consistenza insufficiente. Per non parlare della situazione della crisi delle imprese tuttora in atto: circa il 28% delle imprese (dati Istat 2021) in crisi è costituito da realtà di piccole dimensioni, con un numero ridotto di dipendenti e spesso a conduzione familiare. Esse risultano quelle maggiormente colpite dalla situazione economica negativa e in maggior sofferenza rispetto alle prospettive di continuità dell’attività. Pensiamo agli effetti che questa incertezza sul futuro sta già avendo sugli equilibri familiari e sulla tenuta psicologica dei suoi componenti.
A tutto ciò si aggiunge un ulteriore aspetto.
Le misure e gli interventi di contrasto alla povertà sono messi in campo con lo specifico obiettivo di ridurre la povertà, ma non è scontato che le persone, in particolare quelle in condizione di maggior disagio, sappiano delle opportunità che il Governo mette a disposizione, che sappiano come richiederle e quali siano i requisiti per poter fare domanda e, infine, che a loro venga chiaramente spiegato perché eventualmente non le ottengono. Una questione che riguarda solo gli addetti ai lavori? No! Riguarda tutti noi! Basti pensare alle conseguenze concrete che questo produce sulla vita delle persone: significa non ricevere l’aiuto pubblico a cui si avrebbe diritto e, quindi, continuare a dover contare sulla rete di supporto informale o sull’aiuto di realtà come le Caritas, aggiungere al disagio economico anche la sensazione di essere esclusi dal sistema di welfare pubblico e che la propria condizione di sofferenza non trovi accoglienza, non abbia “diritto di cittadinanza”. Può una misura pubblica generare esclusioni? No, non può e non deve. Un esempio per tutti: il Reddito di emergenza introdotto nella scorsa estate per sostenere tutti coloro che rischiavano di restare esclusi dalle forme di aiuto previste dal Governo e che quindi avrebbe dovuto essere l’ancora di salvezza per molte persone, per esempio sostenendo temporaneamente i “non raggiunti dal RDC” (Reddito di cittadinanza). Con criteri più ampi del RDC, il REM avrebbe dovuto coprire circa 800.000 famiglie (corrispondenti a 2 milioni di persone). Di fatto il REM ha invece coinvolto 422.000 nuclei, pari a poco meno di un milione di persone, che hanno percepito in media un beneficio di 550 euro per gran parte per cinque mesi consecutivi. Come si spiega un tasso di accesso così basso in una fase di emergenza così spinta? L’obbligo di presentazione dell’Isee ha senz’altro rappresentato una difficoltà per i tanti che non lo avevano mai richiesto prima. Questo, unito a una insufficiente campagna informativa e assenza di orientamento da parte delle istituzioni preposte alla sua erogazione, può spiegare il mancato successo di una misura come il REM. Considerando RDC e REM complessivamente, nel corso del 2020, sono stati 4,3 milioni i percettori di misure di contrasto alla povertà, pari al 7,1% della popolazione residente. Se pensiamo ai 5,6 milioni di persone in povertà calcolate dall’Istat, ci rendiamo conto che il rischio delle esclusioni è una minaccia tanto più dannosa quanto più è necessario intervenire con tempestività, semplicità e chiarezza, come la pandemia richiedeva.
Questa vicenda ha molto da insegnarci visto che il REM è stato confermato per i prossimi mesi (se ne potrà far domanda fino al 31 luglio e si riceveranno 4 mensilità – giugno, luglio, agosto e settembre) e può essere un sostegno non di poco conto per molte famiglie oggi. Ma chi si occupa di fare informazione e di aiutare le persone a far domanda e a capire se hanno i requisiti?
Caf e patronati offrono un sostegno tecnico utile ma essi gestiscono, come a loro compete, una fase specifica di tutto l’iter. È l’informazione a monte a mancare, che dovrebbe essere capillare, tempestiva, di facile accesso per tutti, soprattutto in momenti di enorme incertezza come quello attuale, in luoghi presenti sui territori e con operatori che possano aiutare le persone anche per gli aspetti digitali.
La povertà oggi è caratterizzata da un intreccio di fattori: aumento delle persone e famiglie che diventano povere per effetto della crisi, ma anche persistenza delle situazioni di povertà già presenti, data la difficile congiuntura economica; trasversalità dei profili colpiti (giovani, donne, over 50 anni), che è il frutto di processi di impoverimento che vanno avanti da almeno dieci anni in Italia e che sono deflagrati per effetto del Covid. Tutto questo rende necessari interventi che riducano il fenomeno ed evitino la stratificazione dei problemi. Per farlo occorre però mettere in campo interventi pubblici che mettano al centro l’orientamento, l’informazione e l’accompagnamento delle persone sui territori. Altrimenti si avrà il paradosso di misure che escludono le persone, invece di aiutarle.
Solo a queste condizioni potremo sperare in un’immagine diversa per l’Italia dei prossimi anni.

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