di Simona Galia
Nel 2020 il tasso di natalità in Italia ha raggiunto livelli molto bassi e le previsioni per il 2021 sembrano essere per un ulteriore peggioramento. Nascono oggi circa 30% di bambini in meno rispetto a dieci anni fa.


Guardando ai maggiori Paesi europei, la differenza con l’Italia è significativa: il tasso è all’11,2 in Francia e al 9,4 in Germania.
Si poteva prevedere? Forse sì, se uno Stato non investe a favore delle famiglie in termini di sostegni economici, infrastrutture, se manca il lavoro o è instabile o se una donna è ancora discriminata sul posto di lavoro perché “in dolce attesa”. Ma c’è altro?
Ascolto e vedo con interesse la trasmissione “Le parole della Settimana” condotta da Massimo Gramellini (in onda su Raitre il sabato sera). In una puntata recente si è affrontato proprio questo argomento. Oltre a riconoscere allo Stato la responsabilità di aver messo in atto finora politiche sociali deboli per le famiglie, si è affermato che una cospicua presenza di immigrati avrebbe potuto senz’altro contribuire a un incremento delle nascite. Ma lo spunto per riflettere sulla questione me l’ha dato un ospite in particolare. Lodo Guenzi, cantante del gruppo “Lo Stato Sociale”, che ha parlato della sua generazione, quella degli anni ’80, come la prima che ha cominciato a non fare figli. Lui ha sostenuto che la mancanza di percezione di una prospettiva di miglioramento, che, invece, hanno paradossalmente gli immigrati disposti ad affrontare tanti pericoli e a rischiare la vita stessa con l’idea di costruirsi un futuro migliore, è la principale causa di questa situazione, almeno in generale, tralasciando le situazioni personali. A suo avviso la sua generazione non ha preteso una crescita economica, ma si è addormentata su una certa posizione, aggiungo io, per alcuni apparentemente tranquilla, ma che poi le varie crisi hanno dimostrato in parte fallimentare, per altri di rassegnazione a un stato di precarietà nell’indifferenza quasi generale. Ha visto così allungare la fine dell’adolescenza in una bolla di venti-venticinque anni che lo scrittore Danilo Masotti, citato dal cantautore, ha definito con un termine indovinato “Adultolescenza”, che cresce dei “ragazzini” fino ai quarantacinque – cinquant’anni che poi improvvisamente si svegliano, acquistano coscienza e si scoprono “vecchissimi”.
Pur non appartenendo a questa generazione, ma a quella precedente, mi sento comunque corresponsabile di questo stato di cose. Credo che la pandemia, se da un lato ha messo ulteriormente a rischio la stabilità economica di molte famiglie e ne ha ostacolato la formazione di nuove, dall’altra, ridimensionandoci, ha contribuito a restituire alla vita di ciascuno un senso, una missione, una vocazione che non può finire con noi. La famiglia è tutto questo e rimane la trama principale del tessuto sociale. I figli poi completano la vita di noi genitori, la arricchiscono, seppure con sacrifici o forse proprio per i sacrifici. È con loro che possiamo imparare a riconoscere e rispettare le diversità e, quindi, a rapportarci con il mondo, perché amarli vuol dire accettare che siano altro da noi, differenti anche da ciò che ci aspettiamo. Non di rado i figli sono pure il collante in famiglie nelle quali i genitori sembrano aver perso l’orientamento e che, grazie a loro, riscoprono il valore della loro unione.
Ho pensato diverse volte all’isolamento vissuto dai single in quest’ultimo anno. Credo e spero abbiano avuto modo di riflettere che la scelta che sembra oggi di libertà, domani potrebbe essere di vuoto, di solitudine…
È bene, quindi, non rinviare le decisioni che riguardano le nostre vite, ma agire ora, nell’unico tempo certo di cui disponiamo, il presente. Saranno sicuramente scelte coraggiose, ma occorre avere fiducia e speranza potendo contare anche sulla solidarietà di tutti coloro che sono intorno a noi e dell’umanità intera. Se la politica, l’economia dovranno fare la loro parte, proviamo o continuiamo a impiegare le nostre energie per le persone, le famiglie, le future generazioni perché assieme decidiamo e decideremo, ancora per diversi anni. Sono i giovani a chiederci di essere adulti responsabili, per essere insieme il presente e il futuro, per una sana rinascita, personale e collettiva, che metta al centro la vita, la dignità di ogni creatura e la fratellanza umana.