di Katia Mattei
«Nel contesto dell’apprendimento permanente, l’orientamento rimanda ad una serie di attività che mettono in grado i cittadini di ogni età, in qualsiasi momento della loro vita, di identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi, prendere decisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione nonché gestire i loro percorsi personali di vita nelle attività di formazione, nel mondo professionale e in qualsiasi altro ambiente in cui si acquisiscono e/o si sfruttano tali capacità e competenze» (Consiglio dell’Unione Europea- Bruxelles 18 maggio 2004).
Questo piccolo brano da me scelto è tratto dal documento riguardante i sistemi in materia di orientamento, lungo tutto l’arco della vita. Esso sottolinea come nel contesto di apprendimento permanente, l’orientamento può giocare un ruolo rilevante nell’ accompagnare in particolare i giovani a identificare le proprie capacità, i propri interessi, le proprie competenze, a prendere decisioni. La scuola a fianco a quella prima “cellula educativa” costituita dalla famiglia stessa, rappresenta la prima istituzione sociale in cui l’individuo sperimenta un ruolo specifico: deve rispettare un assetto di regole ben determinato, assumersi degli impegni e portarli a termine, confrontarsi con gli altri diversi dalle figure di riferimento a cui sono quotidianamente abituati e essere valutato sui risultati raggiunti; perciò, la scuola risulta essere l’esperienza sociale maggiormente in grado di condizionare l’immagine che il bambino e poi il ragazzo costruisce di sé stesso e il suo progetto di vita. In una situazione in rapida trasformazione sia in ambito politico che economico come quella attuale, l’orientamento costituisce una sfida per l’educazione, un punto fondamentale di arrivo nei processi formativi e educativi, una strategia di coordinamento delle politiche sociali e lavorative, capace di mediare le competenze maturate dagli individui, i progetti lavorativi dei soggetti e la richiesta in continua trasformazione del mercato lavorativo. Ne consegue che l’orientamento scolastico, che la scuola come istituzione educativa è chiamata a strutturare attraverso percorsi didattici, non può essere limitato al momento di una scelta, ma deve presentarsi come un processo formativo e continuo non direttivo, ovvero che aiuti a direzionarsi, ma non si sostituisca alle persone nelle loro scelte che devono essere sempre libere e autodeterminate. L’orientamento si pone quindi obiettivi innovativi rispetto al passato e cioè: pone attenzione allo sviluppo del sé dell’individuo, la capacità di auto valutarsi, di saper fare scelte autonome, di costruire un progetto di vita e di saper gestire le varie tappe evolutive della vita personale, sociale e professionale. Ecco che allora ci si possa chiedere a questo punto quale sia il ruolo dello psicologo, nell’ambito dell’orientamento scolastico: questa figura può utilizzare momenti formativi e informativi rivolti sia agli alunni che agli insegnanti e somministrare dei test agli alunni per aiutare la conoscenza di sé, delle proprie attitudini, interessi, in funzione di una scelta adeguata che sia strettamente personale e usando delle metafore, rappresenti “quel guanto che veste perfettamente quella mano” o quel “vestito che sembra cucito apposta per quella persona”, o “ quella mitica scarpa delle favole che riconosce solo il piede della sua Cenerentola” . Lo psicologo può indagare sui processi volitivi e motivazionali per cui alcuni ragazzi appaiono come volenterosi e dediti allo studio e altri vengano definiti “svogliati” dai docenti o dagli stessi genitori, come se non riuscissero a trovare la giusta motivazione. Si intuisce in tal senso, come sia fondamentale l’atteggiamento degli insegnanti e il come si relazionano con gli studenti, soprattutto nell’età dell’adolescenza dove i giovani cominciano a distaccarsi dalla figura genitoriale per trovare la propria identità, attraverso l’incontro a volte scontro con gli altri diversi da sé. Risulta, quindi, estremamente importante che se da un lato l’orientamento focalizza l’attenzione sui giovani, sul loro pensiero, sui loro desideri e bisogni, sul far emergere problematiche scolastiche o nel metodo di studio, sul guidarli verso il raggiungimento di un rendimento scolastico maggiore, verso il costruire la propria autostima e quindi il proprio benessere psico-fisico e il proprio futuro, dall’altro apre quell’ampia prospettiva che ci fa volgere lo sguardo a tutte le età; infatti, ci aiuta a riflettere sul fatto che l’educazione, lo sviluppo, il potersi sempre mettere in gioco, il potersi migliorare, il poter apprendere, dura tutta la vita e questo ci porta a guardare età più fragili o tappe della vita più delicate, come quella dell’invecchiamento, ad essere vissute in direzione di obiettivi fondamentali come quello del benessere e della qualità della vita. L’orientamento evidenzia anche il fatto che quello che io imparo oggi è solo quello che domani è già diverso, e, pertanto, non si finisce mai di imparare, di crescere, di migliorare, a nessuna età; e del resto, concludendo con un’altra metafora, se la giovinezza è l’età del cambiamento, l’età dell’invecchiamento è quella che illumina il cammino e l’orientamento può essere una via che ci aiuta a percorrere quel cammino verso quella direzione che andiamo conoscendo e costruendo giorno per giorno che sia giusta, cioè adatta, proprio per ciascuno di noi, come la già citata, famosa e tanto ambita scarpetta di “Cenerentola”.
