di Oriana Pieragostini (educatrice negli asili nido)
Sempre più si evidenziano segnali di malessere nell’infanzia, nella nostra società oramai l’eccessivo benessere sta generando malessere. Molto incisive risultano le parole di Roberto Farnè (Università di Bologna) che asserisce che la condizione dell’infanzia oggi è agli “arresti domiciliari”. I bambini fuori a giocare non li vediamo più, la socialità del gioco infantile non esiste più, sostanzialmente deprivati da una serie di esperienze che hanno alla base il rapporto del bambino con l’ambiente esterno. Anche se si stanno facendo strada delle innovazioni in merito a delle esperienze che arrivano dal nord Europa (asili, scuole nel bosco, agri-nido), da diversi anni le valutazioni in campo pedagogico sulla salute e il benessere, ci dicono che l’infanzia è privata di esperienze e gioco all’aperto, di socialità libera, di rapporto con l’ambiente naturale e animale.
Fino a poche generazioni fa, per i bambini il loro spazio di vita era l’ambiente esterno, poi progressivamente i campi di esperienza si sono ristretti. Vediamo attorno a noi bambini crescere su cemento, linoleum, davanti a computer e televisori, prigionieri nelle loro case. Interviste, misurazioni e raccolte dati hanno dimostrato che meno Natura hanno i bambini a disposizione e maggiori probabilità ci sono che sviluppino disagi di tipo sociale, fisico e psicologico, difficoltà di relazionarsi, obesità, difficoltà di concentrazione, stress, ansia e depressione. Cresce così il “deficit di Natura”, ovvero un “Disturbo da mancanza di rapporto con la natura” nel quale si ipotizza che il deficit di attenzione, l’iperattività e i bisogni educativi speciali possono essere ricollegati alla progressiva perdita di esperienze basate sul rapporto con l’ambiente naturale. Fa riferimento anche a un aumento di ansie e paure da parte dei genitori sui rischi che i bambini possono correre all’esterno e quindi la sindrome da deficit di Natura riguarda anche gli adulti, dove lo stile di vita si è incentrato in una routine che comprende principalmente: ufficio, cinema, centri commerciali, palestre e locali di ritrovo.
Tutto questo diventa ancora più evidente nel periodo storico che stiamo vivendo, l‘attuale pandemia ha accentuato alcune tendenze già in atto nella nostra società, facendo diventare l’emergenza sanitaria anche emergenza sociale. I bambini sono stati coinvolti in un cambiamento drastico della loro quotidianità; con la chiusura dei servizi e delle scuole costretti a vivere in una dimensione diversa sia sul piano del ritmo, del tempo, dello spazio, della relazione e delle distanze. Ora, immaginando scenari futuri dove la socialità sarà limitata dal distanziamento sociale, ci si spinge ad orientarci maggiormente in un’educazione che rimette al centro il rapporto con la Natura. Oggi più che mai c’è bisogno di ripartire da un’educazione dove ci si chiede su quale sia la forza del legame di interdipendenza tra uomo e natura, tra uomo e altre specie animali, ed è compito ora di noi educatori di riflettere sulla strada da intraprendere.
L’idea pedagogica di cui abbiamo bisogno oggi è quella di un nuovo paradigma educativo che nasce da un ‘unione di un pensiero pedagogico sul rapporto tra bambini e natura, in tutte le sue sfaccettature: vicinanza, prossimità, centralità della dimensione sensoriale, corporeità, cura. Nella realtà di oggi, a fronte delle condizioni complessive dei bambini, riproporre soltanto servizi di tipo tradizionale è insufficiente. Oramai siamo tutti consapevoli che vi è la necessità di riequilibrare la relazione esistente per tutti i bambini con le nuove tecnologie digitali, ritmi di vita veloci e a volte stressanti delle famiglie e la prospettiva di un riavvicinamento alla Natura proprio attraverso quel corpo nel quale i sensi sono stati assopiti e anestetizzati; soprattutto durante il periodo di lockdown e di distanziamento forzato. La natura come porta d’ingresso verso nuovi orizzonti di benessere e prospettiva formativa per bambini e adulti, trascurati nei contesti sia educativi che scolastici negli ultimi decenni e fortemente messi alla prova dalla pandemia. Ripartire quindi da un’educazione esperienziale in natura, poiché se attualmente è tutto urbanizzato, cementificato e trafficato, l’educazione in natura spinge alla sua ricerca, che considera bambini attivi nel loro percorso di crescita riunendo corpo e mente, perché un corpo in natura è un corpo attivo.
I bambini hanno bisogno di aria aperta, di fiori, animali ed erba, hanno bisogno di rischiare per misurare le loro potenzialità, ritrovando un legame con un ambiente che educa.