di Simona Galia
L’11 febbraio 1993 San Giovanni Paolo II ha istituito la Giornata Mondiale del Malato che da allora si celebra ogni anno. Voluta da Papa Giovanni Paolo II per sottolineare l’importanza della cura della persona nel dolore e nella sofferenza in ambiente sanitario, sottolinea la centralità della persona umana in ogni condizione e verso la quale si deve sempre cura e attenzione, specialmente in situazioni di bisogno e di fragilità.
A volte sentiamo dai mass-media, in periodi di emergenza sanitaria come quello che stiamo vivendo, di gesti eroici di medici e infermieri. Infatti, oltre a svolgere il loro lavoro/missione quotidianamente con professionalità e dedizione, sono costretti a ritmi e orari estenuanti, in condizioni fisiche e psicologiche difficili, in contesti ospedalieri complicati e soprattutto mettendo a rischio la propria vita.
In questo quadro si colloca anche il volontariato ospedaliero, che collabora con il personale sanitario ma, rispetto ad esso, svolge un’attività/servizio complementare e il cui ruolo principale di “cura dei pazienti” è fondamentale e insostituibile.
Perché si diventa volontari? Quali sono le motivazioni, i valori, i pensieri che spingono una persona a dedicarsi al volontariato? Alcune risposte: voglia di aiutare e comunicare, desiderio di conoscere gli altri, curiosità, bisogno di sentirsi utile, dare ciò che non si è riusciti a offrire… Per molti la scelta del volontariato nasce dal desiderio di nutrire sé stessi, di tirar fuori emozioni, di smuovere qualcosa dentro di sé donando e di ritorno arricchendosi, prima ancora che per essere di aiuto. Quindi essere volontari è sicuramente autogratificante, ma questo non è sufficiente per un servizio costante e perseverante. È necessario qualcosa in più che si autoalimenta con il servizio stesso ed è la perdita del confine tra sé stessi e gli altri, il superamento dei propri limiti come singolo e la consapevolezza di appartenere all’umanità tutta. È sentire una responsabilità profonda, reciproca, che sfocia in una comunione esistenziale e porta ad una pace interiore.
Il volontariato è un dono per l’altro. Il volontario, in particolare quello ospedaliero, dona il proprio tempo e si mette in ascolto, in silenzio, senza dare consigli, né risposte a meno che non gli vengano esplicitamente richieste, e sempre, costantemente, misurando le parole con attenzione alla sensibilità dell’altro. Il volontario ospedaliero è lì, presente, c’è per qualunque esigenza, per dare da bere, da mangiare, per sistemare il cuscino, tirar su o giù il letto, per farsi portavoce di richieste, per un momento di allegria, per una carezza, per un sorriso…
Spesso anche i volontari sono visti dai pazienti, dai medici, dagli infermieri, dai parenti che, venendo a trovare i loro cari li ringraziano con occhi riconoscenti, come persone speciali ed effettivamente lo sono.
Ma in un mondo dove spesso quello che dovrebbe essere “normale” viene visto come straordinario ed eroico auguriamoci di recuperare il significato di “normalità”, ma non quella che classifica, discrimina, scarta, ma quella che ci unisce e testimonia la nostra natura di semplici esseri umani!
