di Marilena Amurri
Sono una mamma e una moglie come tante. Sono anche una maestra da più di metà della mia vita.
Questo significa che ho potuto assistere ogni giorno e per tanti anni, ogni volta con rinnovata meraviglia e stupore, ad innumerevoli magici momenti vissuti con i bambini, grazie al privilegio di poter osservare la loro crescita, di poter condividere i lori successi, prendendoli per mano nel loro percorso. Custodisco gelosamente nel mio cuore più di 20 anni di preziosi ricordi e di emozioni grazie a loro. Tra le tante, quella di poter vedere brillare i loro occhi ogni volta che imparano una cosa nuova o in cui raggiungono un traguardo insieme ai compagni, perché a scuola prima di tutto si impara a stare insieme. Ogni gioia, ogni obiettivo, ogni traguardo è più bello se condiviso.
Ed ora questo gli è stato tolto.
Ogni giorno per anni sono stata accolta dal loro assonnato buongiorno, sono stata circondata da quaderni da correggere, da polvere di gesso, da coloratissimi disegni, da chiassose risate, da lunghe file disordinate di grembiulini, da meravigliosi abbracci improvvisi, elargiti da morbide manine e da luminosi sorrisi in grado di accendere anche la giornata più nuvolosa.
Tutto questo per moltissimi anni.
Poi arriva un giorno, all’ improvviso, in cui vieni privata
di tutto questo.
La scuola chiude senza concederti il tempo di salutare i bambini, di prepararli alla separazione, senza poter spiegare loro cosa stia succedendo.
E non poter salutare due classi quinte è davvero brutto!
Da settimane avevamo programmato il camposcuola, da mesi preparavamo la recita di fine anno, la lezione aperta di musica… Avevamo immaginato l’ultimo giorno, la campanella che suona allegra, i gavettoni, qualche lacrima, gli abbracci. Nulla di tutto ciò è stato, né sarà possibile.
Tutto per colpa di un virus da un nome un po’ fantascientifico, covid-19: “Sembra quasi il nome di un’astronave” – mi disse un bambino qualche giorno prima che chiudesse la scuola. Magari fosse solo un racconto di fantasia, da poter leggere tutto d’un fiato per poter arrivare in fretta al lieto fine! Invece è reale purtroppo.
E così, all’improvviso, ci siamo ritrovati tutti (insegnanti, bambini e genitori) a vivere un capitolo del tutto nuovo, ad avventurarci con timore, sospetto e circospezione, consapevoli di non avere alternative, in un pianeta sconosciuto, descritto dall’altisonante definizione “Didattica a distanza”, anche detta sinteticamente DaD.
Dopo decenni in cui svolgi una professione in un certo modo, a contatto diretto e interagendo continuamente con i bambini, non è facile all’improvviso imparare a farlo in un modo
totalmente diverso e soprattutto a “distanza”.
Purtroppo, abbiamo tutti compreso molto presto che la distanza più dolorosa non è solo quella fisica, bensì quella sociale e affettiva che ci era stata imposta.
Niente più abbracci appena entrati in classe, oppure quando d’improvviso, si alzavano tutti insieme dal posto e venivano alla cattedra per stritolarmi e stritolarci nel nostro “abbraccio di classe” con incontenibile e affettuoso entusiasmo, per il quale, più volte, ho rischiato di cadere dalla sedia tra le risate contagiose che echeggiavano nell’aula. Niente più giochi insieme a ricreazione, niente più partite a pallone in giardino ne’ canzoni intonate in coro.
Non dimenticherò mai la prima volta che li ho visti dentro allo schermo del mio computer in quella che è stata la prima di una lunga serie di videolezioni: mi sono venute le lacrime agli occhi nel vederli così felici e così emozionati di poter rivedere noi maestre e i loro compagni. La prima domanda che mi hanno rivolto è stata: “Maestra, quando possiamo tornare a scuola? Presto, vero?” Quegli occhioni e quei sorrisi carichi di speranza e di ottimismo me li porterò dentro e segneranno in modo indelebile nella mia memoria l’anno 2020 per sempre.
La professione di un’insegnante si basa in modo imprescindibile sull’interazione verbale e non verbale tra alunni e docente: il nostro lavoro non è fatto solo di quaderni da correggere o di interrogazioni ma anche di sguardi e di sorrisi, di espressioni del viso, di toni di voce, di gesti. Una maestra passa tante ore al giorno, tutti i giorni, per tanti anni con i suoi bambini e impara a leggere i loro sguardi e a capire se c’è qualcosa che non va anche da come un bambino ti guarda o dal suo tono di voce e lei stessa impara a comunicare con loro anche in questo modo.
Questo virus ci ha imposto la distanza sociale e ci ha privato di quel contatto umano indispensabile per ogni persona e ancor più prezioso per i bambini.
Ogni insegnante sa che i bambini imparano di più se provano delle emozioni, se respirano calore umano.
Nella DaD invece, ci siamo trovati a comunicare con i nostri alunni esclusivamente attraverso un freddo dispositivo elettronico: un computer, un tablet o un cellulare.
Oltre al trauma affettivo inflittoci dalla privazione della didattica in presenza, la didattica a distanza ha portato in tutte le famiglie, comprese quelle degli insegnanti, un notevole carico di stress.
Durante questo periodo, nel mio animo di maestra, si sono alternati diversi stati d’animo declinati in crescenti livelli d’intensità e sfumature: dall’ansia lieve, alla preoccupazione acuta: “Come farò a finire il programma? C’è il libro da completare! Le valutazioni da fare, le lacune da colmare…” Passando anche per un moderato entusiasmo dettato dalla necessità di dover apprendere tante cose nuove: l’utilizzo delle nuove piattaforme, interessanti
programmi, corsi di aggiornamento, innovativi
strumenti tecnologici. Ma soprattutto, nel tentativo di cercare di trasmettere entusiasmo ai miei bambini, determinata nel far sentire loro che, anche se chiusa, la scuola c’era ancora.
Questo è il significato principale della DaD: mantenere il contatto, cercare di fare in modo che i bambini continuassero a considerare la scuola un punto di riferimento nelle loro giornate, in un periodo per loro molto disorientante.
DaD ha significato di fatto per tutti gli insegnanti cercare di assicurare al meglio ai bambini l’improrogabile e irrinunciabile diritto all’istruzione anche in condizioni non convenzionali e di emergenza.
Dad per i docenti ha significato e significa anche tante altre cose.
DaD vuol dire non disconnetterti mai, perché non c’è un orario di inizio né un orario di fine, nel susseguirsi interminabile di diverse attività: preparare le lezioni, assegnare compiti, correggerli (o meglio decifrarli da foto minuscole o incomprensibili o capovolte), rimandarli ai bambini, rispondere ai messaggi, fare videolezioni sperando che la connessione sia stabile e non ti abbandoni sul più bello e cercando di rendere le spiegazioni più chiare e più somiglianti possibili a quelle che facevi in classe, cercando di coinvolgerli e stimolarli. Altre volte invece, significa effettuare le videolezioni con connessioni labili, tra un: “Maestra non ti vedo! Maestra non ti sento!” E
l’insegnante che ripete per la centesima volta: ”Spegnete i
microfoni! Attivate la videocamera!”
Da qui il significato che può essere cinicamente e ironicamente
attribuito alle sue iniziali:
DaD = “Distruzione di Alunni e Docenti” o “Docenti e Alunni Disperati”.
DaD significa purtroppo anche perdere alcuni alunni perché alcuni hanno avuto delle difficoltà oggettive nel seguirla o parteciparvi assiduamente.
Ma DaD significa anche ricevere un video di tutti i tuoi bambini sorridenti che ti augurano Buona Pasqua, o che ti cantano le canzoni che hanno imparato, o dei messaggi in cui ti scrivono che ti vogliono bene e gli manchi.
Dad significa entrare in punta di piedi nelle loro case attraverso un pc, conoscere i loro cagnolini, cantare tutti insieme “tanti auguri” per festeggiare il compleanno di una compagna durante la videolezione.
La Dad, per quanto possa essere di qualità, non potrà mai sostituire la didattica in presenza. DaD per un’insegnante significa: aule vuote ma mente e cuore pieno dei nostri bambini.
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