di Anna Maria Sacchin
Oggi è una splendida giornata di maggio, splende il sole e guardando il cielo terso sembra una giornata come tante e “sembra” che non sia successo niente, ma nessuno di noi potrà mai dimenticare questo periodo, nessuno di noi si dimenticherà del Coronavirus che nel giro di poco tempo ha stravolto le nostre vite.
Ci siamo ritrovati terrorizzati da notizie contrastanti, chiusi in casa perché diventati un pericolo l‟uno per l‟altro, in fila in ogni posto per poter prendere qualcosa da mangiare disinfettando ogni cosa.
Improvvisamente ho visto solo gli occhi delle persone, nascosti dietro una mascherina, gli occhi bassi, isolati ognuno nel proprio spazio con la paura anche solo di guardarsi. Ho visto gente persa, smarrita, impaurita, tesa, al punto di discutere per ogni piccola cosa, anche io non sempre sono stata gentile. In questo clima di confusione generale, ho notato che la farmacia è stato un punto di riferimento, ci siamo ritrovati dall’oggi al domani con la fila di gente fuori ad aspettare, i telefoni che suonavano continuamente al punto che io per giorni ho fatto solo quello per permettere ai dottori di servire tutta la gente in attesa. Tutti chiamavano per avere un consiglio, una rassicurazione, informazioni sulle mascherine introvabili, mascherine sequestrate, prezzi lievitati, alcool terminato… e noi in mezzo a fare da cuscinetto per gli scatti d’ira della gente, per tranquillizzare, per spiegare, per rassicurare e trovare soluzioni ad ogni problema.
Si è lavorato il doppio e male perché c’è stata tensione, paura e incertezza totale ma in tutta questa confusione abbiamo cercato di fare la differenza, di portare oltre al conforto e all’aiuto anche un po’ di allegria e di leggerezza.
E nel cercare “la mascherina” come unico rimedio per avere salva la vita, abbiamo smesso di vivere, ci siamo chiusi come in una fortezza invisibile, accusando chiunque usciva e perdendo ogni contatto umano. Vedendo la gente in fila con la mascherina e gli occhi bassi sul telefono, così chiusa in sé stessa e triste, ho pensato: ma cosa stiamo diventando? Allora ho cominciato a scrivere dei messaggi sulla lavagna e a metterli fuori all’entrata pensando di poter trasmettere qualcosa di positivo, il primo diceva appunto: “mantenete le distanze ma guardatevi negli occhi e sorridete”.
Ogni settimana mettevo un messaggio nuovo, poi ad un certo punto, pensando fosse una cosa sciocca e inutile, ho smesso di scrivere.
Un giorno entra un ragazzo, prende le medicine e fa per andarsene, poi torna indietro e dice alla dottoressa: “scusate ma quei messaggi carini che mettevate fuori e che facevano tanto bene, non li mettete più? Che è finita la creatività?”.
Allora ho fermato il ragazzo e gli ho detto: ora scrivo subito un pensiero e lo dedico a te.
“È nei momenti difficili che è bello tirare fuori il meglio di noi, sii gentile”.
Se un semplice e piccolo messaggio aveva fatto bene a qualcuno, allora ognuno di noi può fare tanto e ora c’è un gran bisogno di fare, perché se è vero che questo periodo sta passando ci sono tanti altri problemi: c’è gente disperata senza lavoro e senza soldi. Allora se ci siamo resi conto di essere così fragili e delicati da essere sconfitti da un microscopico virus, cerchiamo di tornare all’essenziale, torniamo a guardarci negli occhi e a vedere le difficoltà degli altri, aiutiamo il vicino, il collega, non pensiamo solo al nostro orticello altrimenti questo periodo passerà senza averci insegnato niente e ci lascerà solo tristezza e vuoto. Ognuno di noi può fare la differenza perché è unico e insostituibile, “tiriamo fuori il meglio di noi” e aiutiamoci solo così tornerà a splendere il sole.
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